Di mano in mano
Aslam rimase
aggrappato allo zaks mentre lo Shyok
lo sottraeva alla vista di suo padre. Rimbalzò sulle rapide, singhiozzando
liberamente adesso che nessuno poteva vederlo, e tremando nelle acque gelide.
Superata una fase di confuso terrore, Aslam notò che si stava muovendo più
lentamente, poiché il letto del fiume si era allargato. Vide alcune persone
sulla riva più lontana e cominciò a scalciare puntando verso di loro, troppo
preoccupato di perdere lo zaks per
usare le braccia.
“Un vecchio mi
ripescò dall’acqua e mi avvolse in una coperta di pelo di yak” racconta. “Stavo
ancora tremando e piangendo, e mi chiese perché avessi attraversato il fiume,
così gli dissi delle indicazioni che mi aveva dato mio padre”.
“Non ti preoccupare”
gli rispose il vecchio. “Sei stato coraggioso ad arrivare fino a qui da casa.
Un giorno, quando tornerai, sarai onorato da tutti”. Infilò due banconote nella
mano di Aslam e lo accompagnò per un tratto giù per il sentiero che portava a
Khaplu, fino a che non lo affidò a un altro anziano.
In questo modo, Aslam
e la sua storia viaggiarono fino alla bassa valle di Hushe. Il ragazzo fu
passato di mano in mano, e ogni uomo che lo accompagnava dava un piccolo
contributo alla sua educazione. “La gente era così gentile che mi sentivo
incoraggiato” ricorda. “E presto venni iscritto in una scuola pubblica a
Khaplu, dove studiai con tutto l’impegno possibile”.
Greg
Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 299-300