Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

martedì 13 marzo 2012

PALAZZO SALINA - Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Castro (2011)


Il palazzo Salina era attiguo alla Chiesa Madre. La sua breve facciata con sette balconi sulla piazza non lasciava supporre la sua smisuratezza che si estendeva indietro per duecento metri: erano dei fabbricati di stili differenti, armoniosamente uniti però intorno a tre vasti cortili e terminanti in un ampio giardino tutto cintato. All'ingresso principale sulla piazza i viaggiatori furono sottoposti a nuove manifestazioni di benvenuto. Don Onofrio Rotolo, l'amministratore locale, non aveva partecipato, non partecipava mai, alle accoglienze ufficiali all'ingresso del paese. Educato alla rigidissima scuola della principessa Carolina, egli considerava il vulgus come non esistente ed il Principe come residente all'estero sinché non avesse varcato la soglia del proprio palazzo; e perciò stava lì, a due passi fuori dal portone, piccolissimo, vecchissimo, barbutissimo, fiancheggiato dalla moglie assai più giovane di lui e poderosa, spalleggiato dai servi e dagli otto "campieri" col Gattopardo d'oro sul berretto e nelle mani otto schioppi di non costante innocuità. "Sono felice di dare alle Loro Eccellenze il benvenuto nella Loro casa. Riconsegno il palazzo nello stato preciso in cui è stato lasciato."
Don Onofrio era una delle rare persone stimate dal Princi­pe e forse la sola che non lo avesse mai derubato. L'onestà sua confinava con la mania e di essa si narravano episodi spettacolosi come quello del bicchierino di rosolio lasciato semipieno dalla principessa al momento di una partenza e ritrovato un anno dopo nell'identico posto col contenuto evaporato e ridotto allo stato di gromma zuccherina, ma non toccato. "Perché questa è una parte infinitesimale del patrimonio del Principe e non si deve disperdere."
Finiti i convenevoli con don Onofrio e donna Maria, la Principessa che si reggeva ormai soltanto sui nervi, andò di filato a letto, le ragazze e Tancredi corsero verso le calde ombre del giardino, Don Fabrizio e l'amministratore fecero il giro del grande appartamento. Tutto era in perfetto ordine: i quadri nelle loro cornici pesanti erano spolverati, le dorature delle rilegature antiche emettevano il loro fuoco discreto, l’alto sole faceva brillare i marmi grigi attorno ad ogni porta. Ogni cosa era nello stato in cui si trovava da cinquant'anni. Uscito dal turbine rumoroso dei dissidi civili, don Fabrizio si sentì rinfrancato, pieno di serena sicurezza e guardò quasi teneramente don Onofrio che gli trotterellava al fianco. "Don ‘Nofrio, voi siete veramente uno di quei gnomi che custodisco­no i tesori; la riconoscenza che vi dobbiamo è grande." In un altro anno il sentimento sarebbe stato eguale ma le parole non gli erano salite alle labbra; don 'Nofrio lo guardò grato e sorpreso. "Dovere, Eccellenza, dovere"; e per nascondere la propria emozione si grattava un orecchio con il lunghissimo unghio del mignolo sinistro.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, p. 79-80
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