“Quando la persona giusta usa mezzi sbagliati, questi mezzi agiscono in modo giusto;
quando la persona sbagliata usa mezzi giusti, questi mezzi agiscono in modo sbagliato”
quando la persona sbagliata usa mezzi giusti, questi mezzi agiscono in modo sbagliato”
Proverbio cinese
1. La nostra società sta vivendo un momento di cambiamenti veloci e frequenti (mondo liquido).
2. Rispetto alla stabilità del passato, per vivere nella fluidità del cambiamento è richiesto alla persona un abito mentale diverso.
3. La persona è un tutto unitario che continua a riorganizzare la propria conoscenza della realtà grazie alla capacità di raccogliere i saperi in unità.
4. Compito della scuola è quello di favorire nell’allievo il processo di unitarietà del sapere, evitandone la frammentazione.
5. E’ possibile affrontare in questa ottica, gli ultimi interventi di riforma della scuola?
1. IL MONDO LIQUIDO
La velocità nel cambiamento caratterizza ormai quasi tutti gli ambiti della nostra vita; con una illuminante etichetta, Bauman definisce mondo liquido il momento che stiamo attraversando e lo descrive come:
“una condizione nella quale le forme sociali (strutture, istituzioni, modelli di comportamento) non riescono più (né nessuno se lo aspetta) a conservare a lungo la loro forma, perché si scompongono e si sciolgono più in fretta del tempo necessario a fargliene assumere una e, una volta assunta, a prendere il posto assegnato loro. E’ improbabile che le forme sociali, siano esse già presenti o soltanto accennate, abbiano a disposizione abbastanza tempo per solidificarsi, né esse possono servire da quadri di riferimento per le azioni umane e per le strategie di vita a lungo termine, data la loro breve speranza di vita: addirittura più breve del tempo necessario a sviluppare una strategia decisa e coerente, e ancora più breve del tempo richiesto per portare a compimento un ‘progetto di vita’ individuale”[1].
2. UN NUOVO ABITO
Molti anni fa, ai tempi in cui un debitore insolvente poteva essere gettato in prigione, un mercante di Londra si trovò, per sua sfortuna, ad avere un grosso debito con un usuraio. L’usuraio, che era vecchio e brutto, si invaghì della bella e giovane figlia del mercante e propose un affare. Disse che avrebbe condonato il debito se avesse avuto in cambio la ragazza. Il mercante e sua figlia rimasero inorriditi della proposta. L’astuto usuraio propose allora di lasciar decidere alla Provvidenza: disse che avrebbe messo in una borsa vuota due sassolini, uno bianco e uno nero, e che poi la fanciulla avrebbe dovuto estrarne uno. Se fosse uscito il sassolino nero, sarebbe diventata sua moglie e il debito di suo padre sarebbe stato condonato. Se la fanciulla invece avesse estratto quello bianco, sarebbe rimasta con suo padre e anche in tal caso il debito sarebbe stato rimesso. Ma se si fosse rifiutata di procedere all’estrazione, suo padre sarebbe stato gettato in prigione e lei sarebbe morta di stenti. In quel momento si trovavano in un vialetto di ghiaia e l’usuraio si chinò a raccogliere due sassolini. Mentre egli li sceglieva, gli occhi della fanciulla, resi ancor più acuti dal terrore, notarono che egli prendeva e metteva nella borsa due sassolini neri. Poi l’usuraio invitò la fanciulla a estrarre il sassolino che doveva decidere la sua sorte e quella di suo padre.
Che cosa fareste nei panni della sfortunata fanciulla? Quale tipo di ragionamento seguireste? La ragazza potrebbe rifiutarsi di estrarre il sassolino, oppure mostrare che la borsa contiene due sassolini neri e smascherare l’usuraio imbroglione, o ancora estrarre uno dei sassolini neri e sacrificarsi per salvare il padre. Nessuno di queste scelte, tuttavia, sarebbe veramente utile.
Ebbene: la ragazza introdusse la mano nella borsa ed estrasse un sassolino, ma senza neppur guardarlo se lo lasciò sfuggire di mano facendolo cadere sugli altri sassolini del vialetto, fra i quali si confuse. “Oh, che sbadata!” esclamò. “Ma non vi preoccupate: se guardate nella borsa potrete dedurre, dal colore del sassolino rimasto, il colore dell’altro”. Naturalmente, poiché quello rimasto era nero, si dovette presumere che ella avesse estratto il sassolino bianco, dato che l’usuraio non osò ammettere la propria disonestà. In tal modo, servendosi del pensiero laterale, la ragazza riuscì a risolvere una situazione che sembrava senza scampo[2].
Se per Bauman dobbiamo abituarci a camminare sulle sabbie mobili[3] e per Morin bisogna imparare a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze[4], la creatività nelle idee e la flessibilità del pensiero laterale sono, oggi, probabilmente l’approccio più adatto per affrontare e comprendere la realtà che ci circonda.
Un modello scolastico rigido, come quello giapponese, che solo qualche decennio fa era considerato efficace, appare oggi inaccettabile:
“A scuola, il bambino non viene abituato a pensare con la propria testa, ma addestrato a dire la cosa giusta al momento giusto. Per ogni domanda esiste una risposta e quella va imparata a memoria. ‘Che cosa succede quando la neve si scioglie?’ chiede la maestra, e la classe, in coro, deve rispondere: ‘Diventa acqua!’. Se a uno viene da dire: ‘Arriva la primavera!’ è redarguito. Con quello sfoggio di fantasia si è messo fuori del gruppo e questo è mal visto”[5].
Forse un’utile ricetta viene ancora una volta dalla scuola di Barbiana:
“Insieme abbiamo imparato che è importante avere delle idee, ma è dannoso restarvi attaccati sempre e comunque. Un’opinione è un’opinione, e rimane solo un’opinione, per quanto importante possa essere. Non conta tanto averne una – e cercare tutti i puntelli e gli argomenti per farla vincere contro qualcuno che ha una opinione contraria – quanto essere disponibili a credere che ciò che pensa l’altro possa aiutarci a dar vita a un’idea migliore, più vera, più giusta. Solo così le discussioni non saranno chiacchiere o parole da esibire. Solo così le dispute, anche se accanite, non registreranno sconfitti o vinti, ma solo vincitori”[6].
Costruire e ricostruire insieme il sapere sembra essere la strada più adatta per fare fronte alla velocità dei cambiamenti in un orizzonte culturale che vede la persona riorganizzare continuamente la propria conoscenza, grazie alla capacità di raccogliere i saperi in unità.
3. UNITA’ DELLA PERSONA E UNITA’ DEL SAPERE
Per Morin,
“L'essere umano è un insieme fisico, biologico, culturale, sociale, storico. L'insegnamento delle singole discipline tende a disintegrare questa unità complessa della natura umana, al punto che è diventato impossibile apprendere il senso dell'essere uomini. Bisogna ricomporre questa unità, in modo che ciascuno abbia conoscenza e consapevolezza della propria identità complessa e dell'identità che lo accomuna a tutti gli altri esseri umani”[7].
In questo tempo dal futuro fragile e incerto, la pedagogia riporta l’uomo al centro della discussione sui saperi, intendendo con ciò il primato della persona sulle discipline. L’individuo è visto come l’organizzatore di una conoscenza funzionale alla costruzione della propria identità personale, con il docente in veste di guida e accompagnatore.
Un grande pedagogista padovano, Giuseppe Flores d’Arcais, più di dieci anni fa scriveva che Il vero protagonista dell’educazione è l’educando, il solo capace di raccogliere in unità, o sintesi, la molteplicità degli interventi. Infatti la molteplicità degli stimoli educativi può tradursi in positiva azione educativa soltanto a condizione che essi si raccolgano in un tutto unitario all’interno della persona che accoglie e struttura gli stimoli stessi in base al progetto originario legato al proprio modo d’essere[8].
La capacità di base che è dunque necessario sviluppare nella persona è quella di saper riorganizzare e collegare le conoscenze: piuttosto che una testa ben piena, per Morin, è meglio una testa ben fatta. In altre parole, è indispensabile che le menti delle persone siano non tanto caratterizzate da un accumulo di sapere, quanto piuttosto abbiano un’attitudine generale a trattare i problemi e, allo stesso tempo, possano disporre di principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso. Solo una testa ben fatta sarà in grado di cogliere e governare la complessità del sapere in una società come la nostra[9].
Secondo Morin, è necessario promuovere una conoscenza che sappia cogliere i problemi globali e fondamentali entro cui inserire le conoscenze parziali e locali. La conoscenza pertinente esiste soltanto se una persona è capace di collocare un’informazione all’interno di un contesto, di globalizzarlo e di posizionarlo in un quadro generale. L’estrema frammentazione delle conoscenze operata dalle singole discipline rende spesso impossibile collegare le parti alla totalità. Occorre insegnare metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti entro un mondo complesso[10].
4. IL COMPITO DELLA SCUOLA
Alla scuola e ai suoi docenti è affidato quindi il difficile compito di allenare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana. Per conseguire questo obiettivo, la scuola si dovrà dotare di strumenti didattici adeguati: secondo Flores d’Arcais, una didattica dei saperi deve tenere presente che il contenuto, dovendosi adeguare al “ricevente”, si caratterizzerà per estensione e intensità diverse sulla base dell’età e della maturazione della persona. Di qui la conseguente organizzazione della scuola che sempre procede da una didattica di base a una maggiormente articolata[11].
La ricerca della struttura unitaria della cultura di base diventa preliminare rispetto alla successiva istruzione secondaria, che senza questo punto di partenza rischierebbe di cadere nella frammentazione disciplinare[12].
5. LE NOVITA’ ORGANIZZATIVE NELLA SCUOLA
A questo punto possiamo chiederci se, e in quale misura, sia possibile curvare verso questa visione di scuola gli interventi che negli ultimi tempi hanno interessato l’assetto organizzativo scolastico. A titolo di esempio, prendiamo in esame un aspetto controverso relativo alla scuola primaria, quello del maestro “unico” o prevalente.
L’insegnante prevalente. L’esperienza dell’insegnamento in modulo ha consentito ai docenti della scuola primaria di sviluppare notevolmente in questi anni le loro competenze didattiche e disciplinari, ma ha anche permesso loro di sperimentare nuove modalità di relazione legate alla condivisione della responsabilità nella conduzione della classe: il poter affrontare insieme le problematiche di ogni giorno, il condividere idee e impressioni sui ragazzi, il parlare ai genitori con una sola voce, il poter programmare insieme settimanalmente sono tutte opportunità che hanno fatto crescere gli operatori della scuola primaria. E hanno portato benefici innegabili agli alunni.
Pur sottolineando la bontà dell’esperienza in team, l’onestà intellettuale che deve accompagnare ogni ricerca ci fa chiedere però se la presenza di uno stesso insegnante per un tempo più lungo con gli stessi allievi, non possa favorire nel tempo la costruzione di una relazione più profonda e personale con ciascun alunno. E se uno stesso docente, messo nella condizione di poter affrontare nella sua classe i diversi aspetti della conoscenza, non possa agevolare negli alunni la realizzazione di quella visione unitaria del sapere di base, tanto auspicata nella scuola primaria.
Non è facile rispondere a queste domande senza correre il rischio di voler tornare a un passato che in verità non interessa più a nessuno. Ma un tentativo si può fare, cercando di contemperare la bontà della nostra esperienza con le richieste del mondo presente. Sembrerebbe una missione impossibile, ma i docenti della scuola primaria sono abituati a trovare l’acqua nel deserto!
Una possibile pista di ricerca potrebbe essere quella di cercare di rendere più flessibili e coordinati tra loro i tempi dedicati alle discipline facendoli diventare tempi dedicati agli alunni: senza una rigida divisione disciplinare tra i docenti sarebbe forse possibile cogliere meglio le esigenze di apprendimento della classe, il tutto all’interno di un’unica narrazione didattica, anche se svolta a più voci (e qui troverebbero un senso forte anche le due ore settimanali di coordinamento di modulo).
Se vogliamo iniziare questa ricerca, è però opportuno avere prima la consapevolezza dei limiti, sia nei confronti delle nostre competenze disciplinari, sia in termini di aspettative di risultato. Nella convinzione che sia meglio per i nostri alunni avere una testa ben fatta che una testa ben piena, dobbiamo essere consci che il docente della scuola primaria non ha come compito principale quello di trasmettere contenuti, ma quello di dare ai ragazzi gli strumenti per apprendere, accompagnando ciascuno a trovare il proprio metodo. Il maestro non è un professore in miniatura, il maestro non insegna matematica o storia: il maestro insegna ad apprendere, anche attraverso la matematica e la storia. Una volta giunti alla scuola media, saranno offerti ai ragazzi i contenuti e gli strumenti disciplinari più specialistici e adatti all’età, ma sempre all’interno di una visione che deve vedere i saperi funzionali alla vita del ragazzo e non viceversa.
Buon cammino a tutti noi, insieme.
Francesco Callegari
Dirigente Scolastico
Dirigente Scolastico
[1] Zygmunt Bauman, Modus vivendi, Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, Roma-Bari 2007, p. V.
[2] Edward De Bono, Il pensiero laterale (come diventare creativi), BUR, Milano 1997
[3] Zygmunt Bauman, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 131.
[4] Edgar Morin, I Sette Saperi necessari all'educazione del futuro, Unesco 1999, scaricabile nella versione originale da www.agora21.org/unesco/7savoirs/, ed. italiana Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
[5] Tiziano Terzani, In Asia, Longanesi, Milano 1998, p. 250.
[6] Vito Piazza, Lettera a una professoressa 2, Erickson, Trento 2005, p. 72.
[7] Morin, I Sette Saperi.
[8] Giuseppe Flores d’Arcais, Sedici lezioni accademiche per una paideia, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1996, p. 16-17.
[9] Edgar Morin, La testa ben fatta, Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 15.
[10] Morin, I Sette Saperi, cap. II.
[11] Flores d’Arcais, Sedici lezioni, p. 29-30.
[12] Flores d’Arcais, Sedici lezioni, p. 30.