I ragazzi rimasero
sorpresi dalla reazione di don Lorenzo, perché i barbianesi come tutti i
montanari del mondo erano abituati ad arrangiarsi da soli; l’Istituzione
pubblica, da sempre, era assente dalla loro vita e dai loro bisogni.
Figuriamoci se il Comune sarebbe intervenuto per un ponticello per consentire a
un montanarotto di attraversare un ruscello per venire a scuola.
Don Lorenzo colse
invece quell’occasione per insegnare come si imposta una lotta sociale per una
causa giusta. Da quel momento la scuola di Barbiana fu impegnata per alcuni
mesi a studiare il diritto sindacale, furono chiamati sindacalisti per
insegnare le tecniche delle manifestazioni, come si scriveva un cartello, come
comportarsi per evitare di essere denunciati per una manifestazione non autorizzata,
come comportarsi se i carabinieri avessero ordinato di non sostare di fronte al
Comune.
Quando i ragazzi
ritennero di essere pronti, un giovedì, coi loro cartelli arrotolati sotto il
braccio, scesero a Vicchio a piedi. Era la prima loro esperienza di lotta
sindacale e scendevano verso Vicchio carichi di timori di essere ricacciati sui
loro monti senza risultati, ma anche con la determinatezza di non arrendersi di
fronte a una battaglia giusta.
Don Lorenzo non scese
con loro, dovevano vedersela da soli. Per questo scelsero il portavoce e si
prepararono il discorso da fare al sindaco. Gli otto ragazzi passarono
inosservati fino a quando di fronte al Comune aprirono i loro cartelli al grido
ritmato: «Ponte…ponte…ponte».