E’ un ponte,
l'attesa. Si crede che oltre, dopo, ci sia qualcosa, anche se non vediamo bene.
Ma c'è un passo da fare e lo facciamo, a volte sull'impronta segnata da un
altro. C'è un desiderio che mi porta e diventa movimento e se il procedere è
senza traccia alcuna capita di pensare che il ponte si costruisca sotto i
nostri passi, diventati noi creatori, per grazia.
E’ buona l'attesa, ci
restituisce alla nostra responsabilità. Se dopo di me non c'è l'abisso,
custodisco il tempo che vivo e quello che viene. Per chi ancora viene e verrà.
Quando oltre c'è
qualcuno, allora l'attesa diventa un preparare veloce, festoso e inquieto, dal
vestito ai pensieri alle parole: cosa dirò? come starà? Tutto di noi diventa
importante, e anche intorno a noi, lo spazio, le cose.
Non c'è debolezza,
rassegnazione, pigrizia, indolenza nell'attesa. Nella promessa consegnata
l'attesa è vita purissima, coltivata, difesa, progettata, infine condivisa con chi
l'ha a sua volta attesa.
Non si deve aver
paura di fare promesse.
Così è l'amore che sa
mantenere quel che ha promesso anche nei lunghi spazi delle assenze, quelle che
sappiamo capire e anche le altre che non possiamo capire.
«Assenza,
più acuta presenza». Attilio Bertolucci.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 54-55.