Signor Segretario
Generale,
Il lungo dibattito
sui cambiamenti climatici, che ha dato vita nel 1992 alla Convenzione quadro
dell’ONU sul cambiamento climatico e al suo processo di attuazione, mostra come
si tratti di una materia estremamente complessa. Da allora, molte cose sono
cambiate: le dinamiche dei rapporti internazionali hanno dato vita a contesti
geopolitici mutati, mentre gli strumenti scientifici ed informativi si sono
straordinariamente
raffinati.
Uno dei principali
elementi emersi in questi trenta e più anni di studi sul fenomeno del
riscaldamento globale è la sempre più forte consapevolezza che l’intera
comunità internazionale faccia parte di un’unica
interdipendente famiglia umana. Le decisioni e i comportamenti di uno dei
membri di questa famiglia hanno profonde conseguenze su altri componenti della
medesima; non vi sono frontiere, barriere, mura politiche, entro le quali
potersi nascondere per proteggere un membro rispetto all’altro dagli effetti
del riscaldamento globale. Non vi è spazio per quella globalizzazione
dell’indifferenza, per quell’economia dell’esclusione, per quella cultura dello
scarto così spesso denunciate da Papa Francesco (Evangelii gaudium , no. 52, 53 e 59).
Nel processo
finalizzato a contrastare il riscaldamento climatico, troppo spesso abbiamo
visto la prevalenza di interessi particolari o di comportamenti cosiddetti
"free-riders" sul bene
comune; troppo spesso abbiamo registrato una certa diffidenza o mancanza di
fiducia da parte degli Stati, così come degli altri attori partecipanti.
Tuttavia, se vogliamo realmente essere efficaci, è necessario attuare una
risposta collettiva basata su quella cultura
della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla
base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la
piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le
proprie possibilità e circostanze.
In questa direzione,
sembra opportuno richiamare un concetto che è stato sviluppato anche
all’interno del foro delle Nazioni Unite, quello della responsabilità di proteggere. Gli Stati hanno una responsabilità
comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento
e di condivisione delle tecnologie e del "know-how". Ma hanno soprattutto una responsabilità condivisa
di proteggere il nostro pianeta e la famiglia umana, assicurando alla
generazione presente e a quelle future la possibilità di vivere in un ambiente
sicuro e degno. Le basi tecnologiche e operative per favorire questa
responsabilità condivisa sono già disponibili o alla nostra portata. Abbiamo la
capacità di avviare e rafforzare un vero e proprio processo virtuoso che, in un
certo senso, irrighi attraverso attività di adattamento e di mitigazione un terreno
di innovazione economica e tecnologica dove è possibile coltivare due obiettivi
tra di loro concatenati: combattere la povertà e attenuare gli effetti del
cambiamento climatico.
Le sole forze di
mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non possono però
risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale, la
povertà e l’esclusione. La sfida più grande risiede nella sfera dei valori
umani e della dignità umana; questioni che riguardano la dignità umana degli
individui e dei popoli non possono essere ridotte a meri problemi tecnici. In
questo senso, il cambiamento climatico diventa una questione di giustizia, di
rispetto e di equità; una questione che deve sollecitare le coscienze di ognuno
di noi.
Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento
a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.