C’era
un indiano su un poggio, spalle al sole. Bersaglio facile, e lo sapeva. Aveva
aperto le braccia e stava lì. Nudo come l’alba, spalle al sole. Forse era pazzo. Non lo so. Stava
lì, a braccia aperte, pareva una croce. Quattrocento metri. E noi soldati…
be’, sistemiamo l’alzo, ci bagniamo l’indice per capire il vento; e poi più
niente: sdraiati lì senza riuscire a sparare.
Forse quell'indiano sapeva qualcosa. Sapeva che non riuscivamo a
sparare. Sdraiati lì e coi fucili pronti, ma senza manco pigliare la mira.
Fermi lì a guardarlo. Fascia sulla fronte, una penna sola. In piena vista, e
nudo come il sole. Noi lì a guardarlo per un pezzo, e lui sempre immobile. Alla
fine il capitano si imbestialisce. «Sparate, maledetti bastardi, sparate!»
urla. Ma noi niente, impalati. «Conto fino a cinque, poi cella di rigore,» dice
il capitano. Be’, amici… a quel punto cominciamo lentamente a puntare il
fucile, e ognuno spera che qualcun altro spari per primo. Non m’ero mai sentito
così triste in tutta la vita. Alla fine ho mirato alla pancia, perché un
indiano lo fermi solo se gli spari alla pancia, e poi… fatto. E’ andato giù
senza un lamento. Allora siamo saliti dov’era caduto. E non era grosso… eppure
sembrava così enorme… lassù. Un fagotto insanguinato, e piccolo. L’avete mai
visto un fagiano, che vola tutto teso, bello con quelle penne disegnate e tutte
dipinte, e pure gli occhi dipinti? Poi, bum! Lo raccattate, ed è solo un cencio
insanguinato, e allora capite che avete sfasciato qualcosa che era meglio di
voi; e manco mangiarlo vi cambia niente, perché avete sfasciato qualcosa che
era dentro di voi, e non la potrete riaggiustare.
John Steinbeck,
Furore, Bompiani, Milano 2013, p. 453-454
Titolo originale: The
grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck