Dentro di noi esistono due modi di pensare, un
pensiero “largo” e uno “chiuso”. Cosa intendo per pensiero “chiuso”? Tutte le
volte che ci succede qualcosa e ci mettiamo a pensare e a ripensare a quanto ci
è accaduto, quando cerchiamo un perché per ogni episodio, quando vogliamo
individuare la causa che ha determinato la nostra sofferenza…, quando tutta la
mente è concentrata sull’evento che mi ha ferito… quando si vuole spiegarne i
passaggi, allora siamo in una situazione di pensiero “chiuso”. Quando
ragioniamo sulle ferite dell’anima. Dopo un abbandono, una sconfitta, un
tradimento, ci chiudiamo nella prigione dei pensieri. Così non possiamo
farcela.
Io mi sono imposto questa regola: tutte le volte che
soffro non devo ragionarci su e mai, assolutamente mai, cercare soluzioni.
Qualunque cosa accada, io non penso mai a che cosa
l’ha causata, ma sposto lo sguardo altrove. Faccio come i bambini, che sono
maestri dell’anima: mi distraggo, mi affido al pensiero “largo”.
Fantasie, immagini, sogni a occhi aperti sono la mia
cura e rappresentano il pensiero “largo”, quello che non ha i confini dei
pensieri e che è il perno della terapia dei disagi dell’anima. Il pensiero
“largo” è l’abbandonarsi alle immagini, ai sogni e alle fantasie che si
accendono dentro di noi.
Con un pensiero “largo” siamo in grado di dare un
senso nuovo e più ampio alla vita, di sviluppare appieno la nostra natura e
realizzarci con fluidità, senza inutili deviazioni.
Raffaele Morelli, L’unica cosa che conta, Milano 2010, p. 71, 79.