Gli
Utopiani hanno ben poche leggi, perché pochissime bastano a uomini così
organizzati. Essi pensano che sia somma ingiustizia il legare gli uomini con
leggi o troppo numerose per essere lette, o troppo oscure per potersi capire da
chiunque.
Oltre
a ciò non ammettono assolutamente avvocati, che trattino cause con astuzia o
discutano cavillosamente di legge: pensano infatti che sia utile per ciascuno
il discutere da sé la propria causa davanti al giudice dicendo a quest’ultimo
ciò che avrebbe dovuto dire al difensore. In tal modo ci saranno meno giri e
rigiri e più facilmente si caverà di bocca la verità. Sentendo ciascuno
difendere se stesso senza essere stato prima ammaestrato, il giudice pondera
accuratamente ogni cosa e, contro i raggiri dei furbi, viene in soccorso delle
nature più ingenue. Agli altri popoli, questo è molto difficile da eseguire in
mezzo a un gran cumulo di leggi intricatissime.
Del
resto in Utopia, ognuno è esperto di legge: sono infatti ben poche, come ho
detto, e poi quanto più semplici sono le interpretazioni, tanto sono ritenute
le più giuste.
E’
chiaro che, essendo tutte le leggi promulgate al solo scopo di ricordare a
ciascuno il proprio dovere, un’interpretazione troppo difficile servirebbe di
avviso a ben pochi, perché pochi sarebbero quelli che la capirebbero, mentre il
senso più semplice e ovvio è alla portata di tutti.
Tommaso Moro,
L’Utopia, [1516], Bari-Roma 1993, p. 102-103