Oggi, durante il
pranzo, che abbiamo consumato insieme a un migliaio di giovani nel parco principale
della Capitale, il mio accompagnatore si è lasciato andare a una serie di riflessioni.
“Ognuno di noi è un
capo di Stato, se non altro dello Stato che confina con se stessi. In fondo, la
vera cultura sono i comportamenti e di questi ognuno di noi è autore, garante e
responsabile. Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si
atrofizza nella dipendenza.
La Kirghisia è
soprattutto il territorio in cui il cuore umano può battere senza paure, perché
qui si è cercato e si cerca di eliminare ogni forma di dipendenza. In questo
piccolo paese, sperduto nel cuore dell’Asia, si tenta di portare al primo posto
i desideri e le necessità degli esseri umani. Ogni settore del sociale viene
organizzato a misura d’uomo, nella consapevolezza che il soggiorno sul pianeta
sia, per ognuno, un’occasione unica e irripetibile nell’arco intero dell’eternità,
e che quindi debba essere concepito nel modo più favorevole alla vita. Così,
oltre a limitare il tempo di lavoro e ad offrire un’esperienza formativa basata
sul gioco e sull’informazione certa, qui si va disegnando un percorso
esistenziale, dalla nascita fino al termine dell’energia vitale, capace di
offrire a ognuno una serenità quotidiana priva di turbamenti”.
Ho trascritto per
voi, cari amici, il senso del discorso che mi ha avvinto nel profondo del
cuore, tanto che alla fine siamo rimasti a lungo in silenzio e abbiamo
comunicato solo con qualche sorriso.
Amici cari, vi
abbraccio.
Silvano
Agosti,
Lettere dalla Kirghisia, dalla Terza lettera