Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

venerdì 2 marzo 2012

IL SICOMORO - John Steinbeck


Il figlio di Junius si chiamava Robert Louis, come Stevenson. Junius avrebbe voluto chiamarlo così anche nella vita di tutti i giorni. Ma Jakob Stutz trovò che sarebbe stato ridicolo.
"I bambini" disse, "debbono essere chiamati come i cani. Ci vuole un suono solo. Anche Robert è troppo lungo. Dovremmo chiamarlo Bob."
"Veniamo a un compromesso", disse Junius. "Chiamiamolo Robbie e non se ne parli più. Robbie è più breve di Robert, non vi sembra?"
Robbie cresceva pieno di gravità. Egli seguiva i due uomini dappertutto, ascoltando le loro discussioni. Junius non lo trattava mai come un bambino, perché non sapeva come i bambini vadano trattati. Se Robbie faceva un'osservazione, i due uomini la raccoglievano e ne tenevano conto, la usavano magari per deviare in un senso o in un altro il discorso. Essi scoprivano parecchie cose nuove nel corso di un pomeriggio. Parecchie volte andavano a consultare la enciclopedia di Junius.
C'era un enorme sicomoro che stendeva un ramo orizzontale sopra il ruscello, e su di esso i tre sedevano per lunghe ore. I piedi dei due uomini toccavano l'acqua, e Robbie si dava un gran da fare per riuscire a toccarla anche lui. Jakob aveva rinunciato alle scarpe come il padrone; Robbie non le aveva portate mai.
La discussione aveva sempre un carattere erudito. E Robbie, non avendo mai sentito parlare un bambino, non faceva i discorsi che in genere fanno i bambini.
Sedevano i tre sul ramo. Erano vestiti di stracci, coi lunghi capelli tagliati qua e là dove un ciuffo avrebbe potuto dar noia. Guardavano gli insetti muoversi rapidamente sulla superficie dell'acqua, dove il ruscello formava un piccolo stagno. Il grande albero si arruffava nel vento, sopra a loro, e di tratto in tratto lasciava cadere una foglia simile a un fazzoletto bruno. Robbie aveva cinque anni.
"Credo che i sicomori siano buoni" egli osservava, quando una foglia gli cadeva sulle ginocchia.
Jakob prendeva la foglia e ne isolava le costole frantumando il resto.
"Sicuro" diceva. "Crescono vicino all'acqua. Tutte le cose buone amano l'acqua. Le cose cattive sono sempre secche, invece."
"Grandi e buoni sono i sicomori" diceva Junius. "A me sembra che una cosa debba essere molto grande per sopravvivere. Le cose buone che son piccole vengono distrutte dalle piccole cose cattive. Di rado una cosa grande ha il veleno in corpo. Per questo, nel pensiero dell'uomo, la grandezza è un attributo del bene e la piccolezza un attributo del male. Capisci, Robbie?"
"Sì, capisco" Robbie rispondeva. "Come gli elefanti".
"Gli elefanti sono spesso cattivi, ma a noi quando ce li immaginiamo, sembrano gentili e buoni."
"E l'acqua?" interveniva a chiedere Jakob. "Capisci anche quello che io detto dall'acqua, Robbie?"
"No" rispondeva Robbie. "Questo no."
"Io sì che lo capisco" diceva Junius. "Voi intendete dire che l'acqua è il seme della vita. Dei tre elementi l'acqua, dunque, è il seme, la terra l'alvo, e il calore del sole è l'energia vivificatrice."
Era in tal modo che Robbie veniva istruito.

John Steinbeck, I pascoli del cielo, p. 84-86
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