“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica”.
Daniel Pennac, Diario di scuola, p. 107
Il termine latino valĕre viene tradotto con “valere”, “potere”, “avere forza”, “essere capace di”, “avere significato”. Ciascuna di queste accezioni è sempre riferita al soggetto che si autovaluta. Quando invece volevano dar valore a un terzo, i latini usavano la parola aestimare, nel senso di “giudicare”, “stimare”, “dare un prezzo, un valore”.
Tra autovalutazione ed eteroeducazione. Questa premessa etimologica ci aiuta a capire meglio l’art. 1 dello “Schema di Regolamento per il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e per ulteriori modalità applicative dell’art. 3 del D.L. 1 settembre 2008, n. 137, convertito dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169” ancora in bozza:
“…la valutazione è, per la scuola, una verifica dell’efficacia delle azioni messe in atto per favorire il raggiungimento di livelli adeguati di apprendimento per ciascun alunno. La possibilità di migliorare tali livelli ha le radici nella ricchezza degli ambienti di apprendimento e nell’efficacia dell’insegnamento” (art.1, c. 2).
“Il contesto normativo di riferimento evidenzia come la valutazione abbia prevalentemente finalità formativa e concorra al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo di ciascun alunno” (art. 1, c. 3).
I modi della valutazione. La valutazione deve dunque concorrere al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo di ciascun alunno. Per ottenere tali risultati, essa deve sempre essere riferita al soggetto e mai avulsa dalle condizioni personali e dal contesto situazionale in cui esso si trova a operare.
I modi della valutazione sono in varia misura dipendenti dalle scelte complessive: la valutazione può tendere a esaltare le differenze o a ridurle, a premiare il successo o a compensare le difficoltà, a indurre atteggiamenti competitivi o a favorire la collaborazione. Una prova più difficile può essere motivante per alcuni e non per altri, una più facile può essere preferibile per ottenere diagnosi più accurate delle esigenze di ciascuno[1]. A tal riguardo, sarà necessario adottare particolari attenzioni per la valutazione degli alunni diversamente abili e degli stranieri.
“Una valutazione adeguatamente formativa e di qualità non rileva solamente gli esiti, ma pone attenzione soprattutto ai processi formativi dell’alunno, è strettamente correlata alla programmazione delle attività e agli obiettivi di apprendimento, considera il differenziale di apprendimento. Si realizza attraverso l’osservazione continua e sistematica dei processi di apprendimento formali e informali, documenta la progressiva maturazione dell’identità personale, promuove una riflessione continua dell’alunno come autovalutazione dei suoi comportamenti e percorsi di apprendimento” (Art. 1, c. 6).
Basterebbe questo comma. In esso c’è tutto quello che ci serve!
Il riferimento al differenziale di apprendimento ci ricorda come una scuola possa essere valutata positivamente (le cosiddette “scuole efficaci”) solo se saprà dimostrare il valore formativo aggiunto che è riuscita a produrre rispetto alla situazione di partenza di ciascun allievo. Ed è questo che deve essere valutato, in quanto espressione dell’incidenza dei processi di formazione sulle caratteristiche individuali e del gruppo di allievi[2].
La valutazione formativa e di qualità si realizza anche attraverso la narrazione autobiografica e la riflessione personale sul proprio comportamento e sul proprio percorso al fine di comprendere quanto appreso. Gli strumenti di valutazione autoriferita sono dispositivi pedagogici che fermano e focalizzano l’esperienza del soggetto mettendo in luce i suoi percorsi di apprendimento, i suoi modelli di pensiero, le sue azioni ricorrenti, fino ad arrivare alle sue aree di sognabilità e progettualità. Questi attrezzi della riflessione prendono diversi nomi (diario di bordo, registro delle esperienze, quaderno riflessivo,…) ma sono tutti modi per registrare le esperienze e mettere in moto processi di re-interpretazione alla luce di una profonda riflessione su di sé e su quanto appreso. In essi, l’allievo annota tutte le esperienze vissute nel corso del proprio processo formativo, descrivendole, rielaborandole, valutandole alla luce degli obiettivi che egli stesso si era posto in relazione al proprio percorso di apprendimento. Questi strumenti consentono di connettere le nuove conoscenze alle proprie capacità, ma soprattutto permettono di osservare come queste si trasformino in competenze dal momento in cui si strutturano nell’identità personale. La stesura di un quaderno riflessivo, oltre a mezzo per elaborare la complessità dei contesti in cui l’allievo si trova a vivere e operare, rappresenta un metodo per la focalizzazione emotiva che fissa l’esperienza appresa e radica l’apprendimento, andando ad alimentare il processo di coscienza autobiografica. Attraverso questi strumenti riflessivi, la valutazione diventa una continuazione dell’apprendimento[3].
Valutare la complessità. Le competenze complessive di ogni soggetto non si riducono mai a singole prove o abilità; sono qualcosa di più complesso, rintracciabile soprattutto negli itinerari mentali seguiti da ognuno e non sempre traducibili in comportamenti osservabili dall’esterno. I risultati forniti dai singoli alunni possono anche essere identici tra loro, ma i percorsi intellettivi e le motivazioni interiori di acquisizione delle competenze sono sempre diversi e non possono essere trascurati nei processi valutativi. Questi percorsi e queste motivazioni rivelano, alla fine, le vere abilità mentali, le più autentiche dimensioni culturali, sempre diverse da soggetto a soggetto, che ogni alunno mette in campo in maniera personale e specifica, nelle diverse circostanze[4].
Misurazione e valutazione. La maggiore difficoltà che ci troveremo ad affrontare con la votazione decimale risiede nel fatto che dovremo utilizzare quella serie numerica che è legata concettualmente più alla misurazione (aestimare) che alla valutazione (valĕre). Le misure possono certo avere qualche utilità nel reperimento di elementi conoscitivi elementari, ma servono davvero a poco per l’analisi e la comprensione dei processi superiori e più complessi dell’apprendimento, coniugazione estrema delle più raffinate dinamiche di intelligenza e affettività[5]. Spesso si confonde la valutazione con la misurazione (che è solo un momento dell’atto valutativo). La valutazione infatti non è un equivalente della misurazione, ma è l’atto di interpretazione di una serie di misure, che a sua volta è la costruzione di un significato che deve orientare poi la presa di decisione. Da questo punto di vista lo scopo della valutazione consiste nel raffinare il giudizio espresso, a partire dalla molteplicità dei punti vista, delle prospettive di valore dei soggetti coinvolti, e dalla valorizzazione e confronto di tale pluralità. L’assegnazione di un valore dipende quindi sia dai significati comuni, sia dalla progettualità comune[6].
La valutazione collegiale. Esistono varie definizioni di valutazione, a seconda delle teorie, degli approcci, delle tradizioni e dei contesti. Ciò che però conta è che ogni valutazione è intrisa di valori: valutiamo perché personalmente e come gruppo abbiamo un quadro di riferimento concettuale e valoriale che ci permette di assumere una posizione di giudizio[7].
“La collegialità decisionale dei docenti, ribadita anche dall’articolo 3 della citata legge di conversione n. 169/2008, è garanzia della sintesi valutativa finale quale attestazione dello sviluppo integrale conseguito dall’alunno” (Art. 1, c. 5).
La valutazione collegiale dovrebbe limitare il rischio di una visione monoculare e favorire una più equa assegnazione di valore.
La valutazione del comportamento. Per quanto riguarda il comportamento, “fin dalla prima valutazione periodica, il Consiglio di Classe valuta – mediante l’attribuzione di un voto numerico espresso in decimi – il comportamento degli allievi durante l’intero periodo di permanenza nella sede scolastica, anche con riferimento alle iniziative e alle attività con rilievo educativo realizzate al di fuori di essa. Tale valutazione deve scaturire da un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale dello studente in ordine all’intero periodo scolastico cui si riferisce la valutazione. In tale contesto vanno collocati anche singoli episodi che abbiano dato luogo a sanzioni disciplinari” [8].
Verso una valutazione riconoscente. La valutazione dell’apprendimento è dunque allo stesso tempo un processo che dà valore e una riflessione sul valore: riconoscere il significato personale dell’apprendimento costituisce la prima salvaguardia della singolarità e del suo valore. E la dimensione singolare è troppo ricca di caratteri contingenti per essere ricompresa dalle restrizioni di un modello statistico o computazionale sommativo[9]. L’allievo che apprende cerca riconoscimenti per quegli aspetti che egli giudica significativi per se stesso, per ciò che veramente ha assimilato, per ciò che ritiene importante per la sua vita: la valutazione ri-conoscente è quella capace di riconoscere, accettare, valorizzare la nuova realtà che è generata dalla formazione e a essa si accompagna. Essa è attenta al processo formativo: è interessata non solo agli esiti, ma anche al percorso, assistendo, aiutando, curando l’apprendimento nel “suo venire al mondo”, nel suo nascere[10].
Potrà un voto dar conto di tutto questo? E uno stesso voto dato a due persone diverse potrà connotare diversamente l’esperienza soggettiva lungo il (diversamente faticoso) percorso formativo?
Dovrebbe farci riflettere il “Documento sulla valutazione degli alunni diversamente abili” presentato dal nostro dipartimento di Sostegno. In esso si dice che “Nel caso di alunni diversamente abili gravi si debbano predisporre strumenti più idonei per definire i livelli di conoscenza e competenza raggiunti, essendo questi ultimi non quantificabili numericamente e assolutamente soggettivi. Si sottolinea che l’impegno, la progressione dell’apprendimento e il raggiungimento degli obiettivi educativi sono sempre inficiati dalle difficoltà cognitive, certificate dalla diagnosi e, in alcuni casi, anche dai farmaci. Non è possibile dunque seguire uno standard unico, ma si deve predisporre una scheda personalizzata. … Siamo orientati a esprimere il voto 10 su tutte le materie con appendice esplicativa per favorire l’informazione alle famiglie”. Non a caso, anche i docenti di Religione cattolica si pongono un analogo dilemma tra voti e giudizi[11].
Questi sono solo alcuni spunti di riflessione, aperti alla discussione e al confronto. L’importante credo sia pensarci e parlarne insieme per trovare delle modalità valutative adatte ai nostri ragazzi e che rendano migliore la nostra scuola.
Un cordiale saluto
Francesco Callegari Dirigente Scolastico
[1] B. Vertecchi, Valutare è difficile, “Tuttoscuola”, n. 484, p. 53. N. Bottani, Gli indicatori di istituto come strumento di autovalutazione, Atti del convegno “Scuole che si valutano. Verso una professionalità riflessiva”, Chianciano 29-30 maggio 2000.
[2] A. Faion, La valutazione: processo fondamentale per la qualità dei risultati di apprendimento, U.S.R Veneto, Venezia 2003, p. 8.
[3] A. Fontana, G. Varchetta, La valutazione riconoscente, Guerini e Associati, Milano 2005, p. 124, 132-134.
[4] G. Iannuzzi, Verso un nuovo modello di valutazione, “Dirigere la scuola” (8, 2008), p. 19-20.
[5] Fontana, Varchetta, La valutazione riconoscente, p. 74.
[6] Ivi, p. 85.
[7] Ivi, p. 73.
[8] M.I.U.R., Circolare n. 100, 11 dicembre 2008.
[9] Fontana, Varchetta, La valutazione riconoscente, p. 119-120.
[10] Ivi, p. 103.
[11] S. Cicatelli, Voto decimale e IRC, Il nodo della valutazione, “Insegnare religione”, novembre-dicembre 2008, p. 13-15.