Certo che ci si
espone. Allarghiamo le braccia per accogliere e il cuore è lì comodo a chi ci
pugnala. Sorridiamo e la risata del mondo ci può travolgere cattiva. La mano
aperta per carezzare può venire afferrata e i polsi fanno male mentre qualcuno
ci spinge contro muro. E il cullare è anche duro, di notte, stremati, con gli
occhi già chiusi di fatica.
Ma cosa viene
dall’assecondare la legge del corpo, seduzione buona, consolati per contatto, per
passaggio di calore, legge fisica e spirituale del disarmo che smantella la
volontà d’offesa, non si uccide chi ci abbraccia! O forse sì, incarnazione,
croce, storia della tenerezza di Dio per l’uomo. Tenerezza che ci rende giusti.
Amati più di quel che ci amiamo. Giudicati per quel che possiamo e non per quel
che facciamo, o siamo.
Desiderio accolto
nella forma dell’origine: carezza antica che viene dall’audacia di chi si fida,
si affida completamente e non teme abbastanza per sé perché teme molto più per
noi. Quanto divina è la tenerezza che si fa scoglio all’offesa, non scappa
l’agonia, è leggera e tremenda, non sa di frontiere fra me e te.
La tenerezza è lenta
come il tempo del piacere. Come un’eternità che promette pace.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 21.