C'è oggi un vivere ignaro, come se fossimo
nati senza essere cominciati, abitanti di un deserto di storie, nel folle
dimenticarsi di aver padri e madri del corpo e dello spirito. Esserci noi, le
nostre idee, la nostra vita, il nostro agire diritto e determinato e veloce e
senza confini. Noi e il mondo, noi contro il mondo.
Vivere in assenza, sventura che non conosce compianto. Solitario
affermarsi, uno su mille. Lasciando a parte chi ci ha dato. La cura, le parole,
la vita. O un'esperienza che ci ha disegnato per sempre. Eppure dimenticata,
abbandonata, persa nell'ebbrezza dell'inchino superbo al nostro sfaldarci
d'amore per noi.
Intossicati di sé. Overdose di un io smemorato e noncurante. Ingrato
appropriarsi di quel che abbiamo senza merito alcuno ricevuto.
Come si fa a vivere così? A coltivare l'illusione di esser sufficienti
dall'origine, senza fratelli e sorelle e compagne e maestri. Sfida triste e
confusa che ci confonde con la confusione del mondo. Non poter dire grazie, e
liberarci dal peso di portarci tutti interi. Non conoscere la leggerezza di
dividere la storia, nostra e del mondo. Camminar leggeri. Esser grati.
La gratitudine è questo vivere accompagnati. Preceduti, regalati, mai
soli.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 24