PRECARI A VITA
Caro collega precario, sei
pronto? Ora tocca a te cercare il preside amico per farti assumere e tenerti
per più di tre anni nella stessa scuola. Il premier Matteo Renzi ti aveva
avvertito: basta graduatorie. Sarà così, non preoccuparti: il 28 di
agosto non andrai più all’ufficio scolastico provinciale. Non dovrai più fare
la coda all’happening del precario. Non sarai più un numero. Finirai in un albo
e una sola persona, il dirigente, ti sceglierà. Ancora non si è ben
capito sulla base di quali criteri ma non ti preoccupare: il preside li dovrà
pubblicizzare. Lo dice il comma 3 dell’articolo 7 del disegno di legge che
finirà nelle mani del parlamento. E una volta finito nelle mani di quel
preside, zitto e mosca: sarai un operaio alla catena di montaggio
dell’industria dell’istruzione.
Non metterti in testa di avere come
datori di lavoro i tuoi bambini, d’ora in poi sarà il “sciur padrun” dell’ufficio
di presidenza a decidere se andrai bene nella ditta della scuola.
Un consiglio: procurati tre almanacchi,
a partire dalla data dell’assunzione perché ogni anno che passa dovrai
ringraziare il buon Dio e il terzo anno dovrai accendere un cerino al santo
preside perché sarà lui ogni tre a decidere se sarai da rinnovare o da
rottamare.
Ora non mettiamoci a lamentarci: il
posto fisso in una scuola non è un nostro diritto. E nemmeno la continuità
didattica su una classe lo può essere.
Finalmente diventeremo tutti
interinali. Saremo a tempo. Potremo scadere. Chissà forse nasceranno delle
agenzie anche per noi: “Offresi posto da professore di matematica nella ditta
della scuola di Monza. Contratto immediato, durata tre anni”. Renzi è riuscito
a renderci precari a vita. Saremo dei nomadi: passeremo da paese in
paese, da scuola in scuola. Dovremo procurarci delle carovane per casa.
Funzionerà tutto alla perfezione: se sei
un professore di Mantova, e nell’albo territoriale della tua zona, non ci sarà
più posto per te, andrai a lavorare a Livigno se il dirigente di quella città
ti pescherà dall’albo.
Avevo immaginato una chiamata diretta.
Avevo sognato, come in ogni colloquio di lavoro, un responsabile delle risorse
umane o un collegio di persone che mi avrebbe chiamato, chiesto di presentare
un curriculum, conosciuto per poi affidarmi a quella scuola e crescere
all’interno di quella comunità. Speravo di non avere a che fare con un
contratto a tempo e un “padrone” ma di essere licenziato qualora avessi
dimostrato di non saper fare il mio lavoro.
Avevo immaginato una scuola dove
l’insegnante avrebbe potuto godere veramente di prestigio, di dignità, di
rispetto. E invece, ora, ci sentiremo tutti più precari. Ci sentiremo come l’insegnante
di “Baradel” che cantava Enzo Maolucci nell’ “Industria dell’obbligo”: “Il
preside dagli occhi morali di chi non fa mai l’amore ha controllato temi e
registri vari e ha deciso che così non va. Io me ne frego Baradel però ti dico
chi comanda”.