A lungo Pirra è stata
per me una città incastellata sulle pendici d’un golfo, con finestre alte e
torri, chiusa come una coppa, con al centro una piazza profonda come un pozzo e
con un pozzo al centro. Non l’avevo mai vista. Era una delle tante città dove
non sono mai arrivato, che m’immagino soltanto attraverso il nome: Eufrasia,
Odile, Margara, Getullia.
Pirra aveva il suo
posto in mezzo a loro, diversa da ognuna di loro, come ognuna di loro
inconfondibile agli occhi della mente.
Venne il giorno in
cui i miei viaggi mi portarono a Pirra. Appena vi misi piede tutto quello che
immaginavo era dimenticato; Pirra era diventata ciò che è Pirra; e io credevo
d’aver sempre saputo che il mare non è in vista della città, nascosto da una
duna della costa bassa e ondulata; che le vie corrono lunghe e diritte; che le
case sono raggruppate a intervalli, non alte, e le separano spiazzi di depositi
di legname e segherie; che il vento muove le girandole delle pompe idrauliche.
Da quel momento in poi il nome Pirra richiama alla mia mente questa vista,
questa luce, questo ronzio, quest’aria in cui vola una polvere giallina: è
evidente che significa e non poteva significare altro che questo.
La mia mente continua
a contenere un gran numero di città che non ho visto né vedrò, nomi che portano
con sé una figura o frammento o barbaglio di figura immaginata: Getullia,
Odile, Eufrasia, Margara.
Anche la città alta
sul golfo è sempre là, con la piazza chiusa intorno al pozzo, ma non posso più
chiamarla con un nome, né ricordare come potevo darle un nome che significa
tutt’altro.
Italo Calvino,
Le città invisibili, p. 99-100