A Olinda, chi
ci va con una lente e cerca con attenzione può trovare da qualche parte un
punto non più grande d’una capocchia di spillo che a guardarlo un po’
ingrandito ci si vede dentro i tetti le antenne i lucernari i giardini le
vasche, gli striscioni attraverso le vie, i chioschi nelle piazze, il campo per
le corse dei cavalli. Quel punto non resta lì: dopo un anno lo si trova grande
come un mezzo limone, poi come un fungo porcino, poi come un piatto da
minestra. Ed ecco che diventa una città grandezza naturale, racchiusa dentro la
città di prima: una nuova città che si fa largo in mezzo alla città di prima e
la spinge verso il fuori.
Olinda non è
certo la sola città a crescere in cerchi concentrici, come i tronchi degli
alberi che ogni anno aumentano d’un giro. Ma alle altre città resta nel mezzo
la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da cui spuntano rinsecchiti i
campanili le torri i tetti d’embrici le cupole, mentre i quartieri nuovi si
spanciano intorno come da una cintura che si slaccia. A Olinda no: le vecchie
mura si dilatano portandosi con sé i quartieri antichi, ingranditi mantenendo le
proporzioni su un più largo orizzonte ai confini della città; essi circondano i
quartieri un po’ meno vecchi, pure cresciuti di perimetro e assottigliati per
far posto a quelli più recenti che premono da dentro; e così via fino al cuore
della città: un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conserva i
tratti e il flusso di linfa della prima Olinda e di tutte le Olinde che sono
spuntate una dall’altra; e dentro a questo cerchio più interno già spuntano –
ma è difficile distinguerle – l’Olinda ventura e quelle che cresceranno in
seguito.
Italo Calvino,
Le città invisibili, 136-137