Quella sera i gatti
si stupirono che la gabbianella non venisse a mangiare il suo piatto preferito:
i calamari che Segretario trafugava nella cucina del ristorante.
Molto preoccupati la
cercarono, e fu Zorba a trovarla, triste e avvilita, fra gli animali
imbalsamati.
«Non hai fame,
Fortunata? Ci sono i calamari» spiegò Zorba.
La gabbianella non
aprì becco.
«Ti senti male?»
insisté preoccupato Zorba. «Sei malata?»
«Vuoi che mangi per
farmi ingrassare?» domandò lei senza guardarlo.
«Perché tu cresca
sana e forte» rispose Zorba.
«E quando sarò
grassa, inviterai i topi a mangiarmi?» stridette con i lucciconi agli occhi.
«Da dove tiri fuori
queste sciocchezze?» miagolò deciso Zorba.
Lì lì per scoppiare a
piangere, Fortunata gli riferì tutto quello che Mattia le aveva strillato.
Zorba le leccò le lacrime e all'improvviso si sentì miagolare come non aveva
mai fatto prima.
«Sei una gabbiana. Su
questo lo scimpanzé ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene,
Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana. Non
ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto,
perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che
tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo
protetta fin da quando sei uscita dall'uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro
affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana.
Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed
è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di
orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere
diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno
che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana
e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata,
ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i
nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri
completamente diversi».
«Volare mi fa paura»
stridette Fortunata alzandosi.
«Quando succederà, io
sarò accanto a te» miagolò Zorba leccandole la testa. «L'ho promesso a tua
madre».
La gabbianella e il
gatto nero grande e grosso iniziarono a camminare. Lui le leccava teneramente
la testa, e lei gli copriva il dorso con una delle sue ali tese.
Luis Sepùlveda,
Storia di una gabbianella e del gatto che
le insegnò a volare, 1996