Caro
papà,
oggi
sei tornato dal lavoro scuro in volto. Così, almeno, ha detto la mamma: io,
come sai, non posso vederti, non credo che lo potrò mai. «È solo un po' di
stanchezza» hai detto; «capisco», ha risposto la mamma, il fratellino ha il raffreddore,
la notte è stata dura, l’udienza è stata difficile, le solite cose, insomma.
Verso
le quattro mi hai preso in braccio, era da tanto che non lo facevi, è stato
bello sentire il tuo maglione caldo, l'odore del sigaro: non so se te ne sei
accorto, non so se ci fai ancora caso, ma ti ho sorriso. Da quando è nato il
fratellino hai dedicato a lui ogni attenzione, ogni premura. Ti capisco, papà:
il fratellino cambia di giorno in giorno, di minuto in minuto, lui sa come
rispondere alle tue domande con versi diversi da un lamento o dal silenzio, ha
un futuro e combatte per conquistarselo. Io sono una cosa diversa, sprofondata
in fondo al mio presente eterno vi costringo, te e la mamma, a ripetere all’infinito
gli stessi gesti, giorno dopo giorno, sempre uguale, io non combatto, io non ho
futuro, io devo ricordarti ogni istante l’idea della morte, io salmodio su un’unica
tonalità, il fratellino è un urlatore gioioso, anche un po’ eccessivo, credo,
ma come impedirvi di gustare in ogni suo gridolino il sapore pieno della vita?
Giancarlo De
Cataldo,
Mi riguarda, Edizioni e/o, Roma, 1994