L'uomo perfetto che
ha raggiunto la virtù non si è mai scagliato contro la fortuna, non si è
lasciato affliggere dalle disgrazie: le ha subite come fatiche impostegli,
sentendosi cittadino dell'universo e soldato. Le avversità di ogni tipo non le
ha rifiutate come un male assegnatogli dalla sorte, ma le ha accolte come un
impegno: "Comunque sia la situazione, è affar mio; è dura, è difficile,
devo impegnarmi a fondo."
Non poteva, perciò,
non apparire grande l'uomo che non ha mai pianto sui suoi mali e non si è
lamentato mai del suo destino; si è fatto comprendere da molti, ha brillato
come una fiaccola nelle tenebre e si è attirato la benevolenza generale col suo
carattere mite e moderato, ugualmente giusto con gli uomini e con gli dèi.
Aveva un animo perfetto
e giunto al massimo livello, oltre il quale c'è solo lo spirito divino, di cui
una parte è discesa anche nell'anima mortale; e proprio quando medita sulla sua
mortalità e si rende conto che l'uomo è nato per morire, l'anima rivela di
essere divina: questo corpo non è la sua casa, ma solo un albergo, e per un
breve soggiorno, e bisogna lasciarlo quando ci si accorge di essere sgraditi
all'ospite.
Lucio Anneo
Seneca (4
a.C. – 65), Lettere a Lucilio