Gli
Utopiani si stupiscono che esista qualche mortale cui diletti l’incerto
splendore di una piccola gemma, di una perla, quando può contemplare qualche
stella e anche lo stesso sole.
Ugualmente
si stupiscono che l’oro, per sua natura così inutile, sia stimato tanto ai
nostri giorni che qualsiasi zoticone, disonesto o sciocco o con meno
intelligenza di un pezzo di legno, possa tenere in servitù molti uomini
sapienti e buoni; e questo per il solo fatto di trovarsi in possesso di un
sacco di monete d’oro.
E
che dire di quelli che accumulano beni superflui, per dilettarsi non già di far
uso dei loro tesori, ma di conservarli? Ne ricevono un piacere vero o piuttosto
si lasciano illudere da un piacere immaginario? O quelli che, per un’altra
specie di stortura, nascondono l’oro in modo da non potersene più servire e
forse non poterlo neanche più vedere? Eppure tu, dopo aver seppellito il tuo
tesoro, esulti di gioia, come se ormai non avessi più pensieri! Ma se qualcuno
nel frattempo te lo ruba e tu, senza sapere nulla del furto se non dopo dieci
anni, per tutto quel decennio sei sopravvissuto alla perdita del denaro, cosa
importa se ti fosse stato sottratto o lasciato lì? In un caso o nell’altro te
n’è venuto lo stesso vantaggio, né più né meno.
Tommaso Moro,
L’Utopia, [1516], Bari-Roma 1993, p. 80-81,
87-88