Mi hanno spiegato
che "capire", nel senso ebraico del termine, significa
"gustare", "fare l'esperienza di". La conoscenza, nella
cultura ebraica, si discosta da un certo intellettualismo, eredità del mondo
greco. Per gli ebrei, conoscersi significa impregnarsi della propria storia per
darle un senso, un significato, per fare delle esperienze.
Ma si possono
accumulare le esperienze per fuggire dalla realtà, senza considerarne il senso
profondo, la portata, le conseguenze che hanno su di noi e sul nostro prossimo.
Però, grazie alla riflessione, ogni evento può aiutare a costruire, a scegliere
ciò che ci fa vivere, a scegliere la vita.
Riprendiamo gli
insegnamenti dell'etimologia ebraica e concediamoci una breve digressione sul
bene e sul male. "Bene", in ebraico, si usa per i funghi commestibili
e "male" per quelli che attanagliano il nostro stomaco fino
all'agonia. Conoscersi significa appunto conoscere ciò che è bene, ciò che favorisce
la vita, e non accumulare esperienze sterili.
Alexandre
Jollien,
Elogio della debolezza, Edizioni
Qiqajon, Magnano(BI) 2001, p. 95-96
Alexandre Jollien è nato in Svizzera nel 1975 con un grave
handicap cerebrale-motorio per un parziale strangolamento causatogli dal
cordone ombelicale. Ha trascorso 17 anni in un centro specializzato per disabili,
avendo difficoltà a camminare, leggere e parlare. La scoperta della filosofia
gli cambia la vita. Una volta diplomatosi in un istituto commerciale, studia
filosofia e greco prima all’Università di Friburgo e poi a Dublino. Nel suo
ultimo libro “Cara Filosofia”, attraverso una serie di lettere ai filosofi che
l’hanno aiutato a superare l’angoscia dell’handicap e a costruire se stesso,
racconta il suo itinerario intellettuale.