Dopo l’estenuante tour de force degli scrutini di ammissione, dopo un numero di prove scritte superiore perfino all’esame di maturità e dopo ore e ore di colloqui orali è finalmente giunto il momento di stabilire il voto finale per ciascun candidato.
A questo punto, emergono solitamente le due diverse posizioni proprie dei docenti della scuola dell’obbligo: due visioni e due convinzioni assolutamente legittime, ma apparentemente inconciliabili tra loro.
La prima visione è quella dei docenti convinti che il ragazzo si debba conquistare il voto finale all’Esame di Stato prova dopo prova. Il risultato finale sarà misurato oggettivamente sulla base delle chiare prescrizioni normative:
“Il voto finale è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove e nel giudizio di idoneità arrotondata all’unità superiore per frazione pari o superiore a 0,5” Art. 3 comma 6 del D.P.R. 122/2009. Più chiaro di così!
La seconda visione è quella dei docenti convinti di conoscere ormai, dopo tre, quattro o, Dio non voglia, cinque anni di scuola media, il valore del ragazzo che hanno di fronte e non sarà certo un esame andato troppo bene o troppo male a far cambiare loro opinione. La loro valutazione sarà pertanto formulata sulla base delle chiare indicazioni ministeriali:
“Sarà perciò cura precipua della Commissione e delle Sottocommissioni d’esame, e della professionalità dei loro componenti, far sì che il voto conclusivo sia il frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico dei giovani candidati” C.M. 49 del 20 maggio 2010 e C.M. 46 del 26 maggio 2011. Più chiaro di così!
E così allo scrutinio avremo da una parte i docenti che giustamente non vogliono svilire il valore dell’Esame di Stato, e dall’altra avremo i docenti che, altrettanto giustamente, non vogliono che sia perso il senso del percorso scolastico di un allievo che ha dato il meglio di sé durante gli anni di scuola e che, malauguratamente, è scivolato sulle prove scritte o all’orale.
Durante la discussione, queste due diverse posizioni emergono chiarissime e corrispondono naturalmente all’idea che ciascuno ha della scuola. Alla fine, però, il candidato deve uscire con un voto. Ed è il voto con cui si presenterà alle superiori, alla società, alla vita. Il voto che egli sente come il “valore” che gli viene dato e che quindi porterà con sé e ricorderà per sempre.
In una lettera che vi ho scritto un paio di anni fa (Il triangolo e il primo violino) vi esortavo a tenere sempre a mente la differenza tra “misurare” e “valutare”. Non a tutte le tipologie di docenti è richiesto questo: durante un esame universitario, per esempio, vengono soprattutto “misurati” i livelli di conoscenza teorica o i gradi di competenza tecnica. Nel caso però di un docente che è anche un educatore, la misurazione risulta essere del tutto funzionale alla valutazione e non può mai essere considerata fine a se stessa, pena l’annullamento della funzione pedagogica propria del docente della scuola dell’obbligo. Una scuola che, come dice il nome stesso, ha l’obbligo di accompagnare gli allievi in un percorso personale, guidandoli in otto anni ad acquisire le competenze di base utili a ricoprire il loro specifico ruolo nella società. E in questo risiede il compito orientativo della scuola dell’obbligo!
Ogni ragazzo ha una propria vocazione da scoprire, ma ha anche un’immagine di sé: ciascuno nel proprio intimo si dà in qualche modo un “valore”. Un valore che noi stessi come docenti abbiamo contribuito a definire durante le giornate scolastiche, le discussioni in classe, le interrogazioni, i compiti. Credo sia giusto tenere conto anche di questo.
Quale può essere allora il senso della valutazione alla fine del primo esame scolastico cui i nostri ragazzi vengono di fatto sottoposti?
Una possibile risposta, in grado di contemperare le due visioni, potrebbe essere quella di considerare l’esame di Stato una tappa estremamente importante per gli allievi, ma non risolutiva per i docenti. Il giusto valore dell’esame non viene sottolineato da una misurazione che poco ha a che vedere con la valutazione che l’allievo ha fatto di se stesso e che i docenti hanno via via affinato durante i suoi anni di sviluppo e di maturazione. Il giusto valore dell’esame viene dato valorizzando l’allievo ed “evidenziando i punti di forza nella preparazione dei candidati anche in funzione orientativa rispetto al proseguimento degli studi” C.M. 49/2010.
Valutazione dunque come valorizzazione: ne “Il triangolo e il primo violino” potrete trovare altri spunti di riflessione.
Vi invito a non dare mai nulla per scontato, a non pensare di avere la verità in tasca, a non ritenere di avere raggiunto la meta e di non avere più nulla da imparare da nessuno. Ma, con l’umiltà di chi sa di non sapere, vi auguro e mi auguro di saper fare sempre tesoro delle idee diverse dalle nostre, perché solo confrontandole con quelle degli altri potremo confermare la bontà delle nostre posizioni o migliorare le nostre convinzioni.
Vi auguro e mi auguro di avere anche come don Chisciotte il coraggio di guardare al di là delle apparenze e di trovare sempre la forza di scagliarci contro tutti quei mulini a vento che vorrebbero intralciare la nostra strada verso un mondo più giusto.
Francesco Callegari
Dirigente Scolastico