Anche se parla con parole che toccano il cuore e stimolano la mente, non tutti la pensano come Domenico Starnone. E allora credo sia giusto dare voce anche a coloro che propongono idee dissonanti, elaborano pensieri sferzanti, seguono strade desuete rispetto alla nostra sensibilità. Persone con le quali possiamo anche non essere d’accordo, ma che rispettiamo sino in fondo perché siamo convinti che le loro posizioni siano dettate dalla più assoluta buona fede e perché solamente una riflessione senza pregiudizi ci può condurre un poco alla volta a trovare il “nostro” pensiero, la “nostra” idea su un determinato argomento.
Marcello Veneziani, giornalista, propone una lettura diversa rispetto a quella di Domenico Starnone, individuando nella pedagogia di don Lorenzo Milani le cause remote del marasma e del disorientamento in cui oggi la scuola vive. Il brano che segue è tratto dal libro: Rovesciare il ’68, scritto da Marcello Veneziani un paio d’anni fa.
Morì un anno prima che scoppiasse il 68, ma ne fu un appassionato precursore. Don Lorenzo Milani fu il mistico affondatore della scuola italiana. Il parroco della Barbiana con la sua celebrata Lettera a una professoressa, voleva cambiare radicalmente e generosamente la scuola, ma contribuì a distruggerla. Don Milani merita il rispetto che si deve agli idealisti in buona fede; ma insieme merita la diffidenza che si deve al devastante idealismo. Pie intenzioni e disastrosi effetti.
Tutti idealisti, in buona fede, convinti di liberare l'umanità e migliorarla. Tra questi spicca don Milani. Che per giunta era prete, applicava la carità, si dedicava ai ragazzi con tutto il cuore, agiva nella Firenze dei La Pira, padre Balducci e padre Turoldo, ed è morto pure giovane. Lasciando a noi posteri i danni bestiali della sua sublime utopia. Don Milani sognava una scuola non dei ricchi ma di tutti, con il professore uguale ai suoi alunni, dialogante, senza bocciature né autorità, perché "l'obbedienza non è una virtù". Don Milani delineò il modello della scuola assembleare e finse persino di aver scritto la sua lettera-libro insieme ai ragazzi, che in realtà assentivano soltanto. Nobili propositi, ma poi vennero gli esiti. La scuola che non premia i meriti e le capacità, che non seleziona e non è fondata sull'autorevolezza del docente, prepara sempre meno alla vita, non educa, non migliora; non produce alunni più liberi e uguali ma più bulli e prepotenti. È una scuola che non ha ridotto le distanze tra ricchi e poveri ma le ha ingigantite. Non a caso prima del 68 gran parte dei benestanti mandavano ancora i loro figli nelle scuole pubbliche; ora invece li mandano alle private. Compresi gli estimatori di don Milani: i loro figli vanno al college, non si confondono con plebaglia e gli immigrati.
"La selezione è un peccato contro Dio e contro gli uomini" scrisse don Milani; una bestialità che ha distrutto la scuola mentre i ragazzi si allontanavano da Dio e dagli altri uomini. La selezione non era classista ma al contrario faceva saltare le classi sociali perché faceva risaltare le capacità personali, il valore del singolo rispetto alla provenienza e all'appartenenza. Se togli i meriti restano il censo e quel che ti dà la famiglia. Al mio liceo il preside era figlio di contadini e da ragazzo faceva il contadino pure lui; e il professore di lettere era figlio di trovatelli. Con la loro tenacia e le loro capacità si erano fatti strada; il latino per loro non era una forma di oppressione di classe, come sostenevano i seguaci di Don Milani, ma una leva per emanciparsi, persino un mezzo di rivalsa rispetto ai ricchi, pigri e viziati, che non erano abituati ai sacrifici. La selezione dei più bravi aveva permesso il loro riscatto sociale.
La fine delle bocciature ha coinciso con la fine della meritocrazia; così si va avanti più di ieri per affiliazione, se si è figli o protetti dai potenti.
La brutta scuola d'oggi è figlia dei begli ideali di ieri.