Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

lunedì 12 luglio 2021

GRANDE ITALIA, ITALIA GRANDE







Grande nella solidarietà, nell’accoglienza, nella buona educazione, nel rispetto degli altri, nella sobrietà, nel sentirsi parte di un tutto che non può essere solo un fazzoletto di terra.

Grande nell’ascolto, nel parlare sottovoce, nel porre attenzione, nel maneggiare le cose con cura, nell’inventare.
 
Grande nel  far ammirare alle persone del mondo la terra che abitiamo, i nostri mari e le montagne, i piccoli borghi e le grandi città. Grandi nel condividere con loro queste meraviglie. 

Grande nel preparare i cibi con cura, nell’assaporarne i sapori con la lentezza che il piacere richiede, nel godere degli odori che erbe e fiori spandono in dono sotto il calore del sole mediterraneo. 

Grande nel saper cogliere nello sguardo del vicino una richiesta di aiuto, o anche solo una carezza, una parola d’amore o di amicizia. 

Questo farebbe grande l’Italia e questo farebbe l’Italia grande. 

Questo.


domenica 28 giugno 2020

CHIAMATEMI DIRETTORE




“I limiti esistono soltanto nell’anima
di chi è a corto di sogni”
Philippe Petit, Trattato di funambolismo

“T
utto quello mi è capitato di buono non mi è venuto da una vera intenzione, ma come da sé, senza meta prefissa, senza posa della prima pietra e altre solennità d’inaugurazione”. Questo, Erri De Luca confessa nel suo Alzaia, squarciando di verità un’esistenza che solo illusoriamente pensiamo in mano nostra.  E, sempre su Alzaia, continua: “Suo compito a volte è solamente non opporsi, non frenare, insomma farsi suonare senza la pretesa di essere sempre suonatore, compositore”.
Anni di vita e di lavoro che creano un disegno, ma noi siamo troppo bassi, ci siamo dentro, per poterlo vedere tutto intero, e riconoscerlo. Ne sa qualcosa l’uomo descritto da Karen Blixen che, dopo una nottata di corse tribolate in giardino, scopre, il mattino dopo, che le sue orme avevano disegnato sul terreno una cicogna: “Quando il disegno della mia vita sarà compiuto, vedrò, o altri vedranno, una cicogna?”
Così, le lettere che in questi anni ho scritto per voi. A partire da Magiche alchimie del Primo settembre 2007, in tutte e in ciascuna ho lasciato che spirasse il vento della profezia: parola che sbaraglia, soffio di messaggio che ogni volta scompigliava me per primo. Di rado mi sono preoccupato che l’esito fosse poesia o aspra prosa. Di rado ho cercato parole che fossero condivisibili da tutti, anzi. Rileggendole, odo musica che invita a ballare, avverto ali che spingono a volare, odoro profumi che fanno sognare. Ma più di tutto, sento la mano che scuote decisa l’albero, affinché ciascuno possa godere del proprio frutto maturo.
Anche questa, ultima mia lettera come vostro dirigente, non cercherà facile consenso, ma avrà la durezza della terra da arare, sasso gettato nello stagno, uccello che vola controvento, sbattuto e inerme.
Nelle mie intenzioni, questo avrebbe dovuto essere il lascito ideale, il testamento pedagogico, qualcosa con cui farmi ricordare. Carrellata sui tanti anni di scuola, e di vita. Flash di eventi e ripasso di memoria. Pensieri scolpiti. E ringraziamenti per tutti voi che avete reso possibile una scuola con il cuore che batte.


Così si fa alla fine della carriera, questo ci si aspetta dal dirigente che va in pensione: parlarvi del progetto di scuola che fin dall’inizio ha infiammato il mio cuore e che giorno dopo giorno ho condiviso con voi. Ripercorrere i nostri sogni pedagogici, le avventure didattiche, le sperimentazioni organizzative, i nostri corsi di formazione, unici e irripetibili. Individuare ancora una volta assieme a voi la stella polare che indica il nostro oriente, il senso di tutto il nostro lavoro: i ragazzi e il loro seme cui offrire rispetto e nutrimento. La carne sempre prima delle carte. 
Niente di tutto questo. Perché sono mano prestata, idee che mi raggiungono e che ritrasmetto come onde nell’aria, vibrazioni che assumono la forma di chi le riceve, e le accoglie. Melodia su cui ciascuno intona il canto che sa, o che può. 

“La visione della stella polare non dice mai al pescatore in quale direzione debba muovere,
ma egli non avanzerà nella notte se non è in grado di riconoscerla”.
Simone Weil, Scritti londinesi
Per quanto mi riguarda, credo di avere compreso il disegno che tutti questi anni di corse tribolate, questo mio andirivieni di parole e di azioni, alla fine, hanno prodotto: incisa sulla terra del mio giardino riconosco l’immagine di un uomo per una scuola d’altri tempi e d’altri modi.
Chiamatemi direttore. Non prèside, direttore. Come di colui che dà una direzione, vento che soffia sulle vele e le gonfia, acqua che sostiene la nave e la fa navigare. Dito che indica la luna.
Vent’anni fa, per norma di legge, i direttori didattici e i prèsidi sono diventati dirigenti scolastici. Anche i direttori, da allora, hanno preferito farsi chiamare prèside, convinti così di salire di grado. Sbagliavano.
Parrebbe una questione puramente nominale, ma anche il modo in cui ci si riferisce a una persona contribuisce a definirne il ruolo, e la funzione ne assume i colori e le sfumature: mentre prèside è “colui che siede davanti”, il direttore “traccia, alza, costruisce”.
Tredici anni fa, non ne ero pienamente consapevole. E adesso è troppo tardi, per me, ma soprattutto per la scuola. Non servono i direttori. Altre sono le priorità e le urgenze che l’istituzione deve affrontare.
L’appellativo del dirigente è ormai solo questione di lana caprina.

“Se vuoi costruire una nave
non chiamare gente che porti il legno
che procuri gli attrezzi necessari
Non distribuire compiti
Non organizzare il lavoro
Prima sveglia negli uomini la nostalgia
del mare lontano e sconfinato
Appena si sarà svegliata in loro questa sete
gli uomini si metteranno subito al lavoro
per costruire la nave”.
Antoine De Saint-Exupery

In tredici anni, non ho mai scritto un ordine di servizio.
Ho sempre cercato di creare intorno a voi spazi di libertà, universi di fiducia. Intorno, ma più di tutto al di sopra. Ho liberato lo spazio da tutto ciò che poteva ostacolarvi in altezza, me compreso. Per consentirvi di crescere, di alzarvi in volo, senza paura, senza timore di andare a sbattere, di venire ripresi. Non ho mai dovuto infliggere una sanzione disciplinare.
E non mi sono mai arreso. In ogni Collegio, in ogni Consiglio, in ogni occasione, direttore come voce d’onda, costante sciabordio dell’acqua contro la chiglia della nave, megafono di domanda. A ricordare, a tenere alta e viva l’attenzione sul senso della navigazione. 
A ogni ondata, una domanda:
“Verso dove stai andando?”, “A cosa sei destinato?”, “Sei al tuo posto?”
E la domanda radicale per una scuola:
“Quale educazione?”
Cinque anni fa, nella lettera La domanda delle onde scrivevo:
Quando per esempio affermiamo che è l’allievo a essere posto al centro dell’azione educativa, intendiamo operare per accompagnarlo a scoprire e valorizzare la sua vocazione profonda oppure intendiamo fornirgli gli strumenti per integrarsi efficacemente nella società attuale? Non è la stessa cosa. Se riteniamo prioritaria l’integrazione all’interno di questa società in veloce cambiamento, daremo grande valore alle competenze. Ma se per centralità della persona intendiamo ciò che le onde ci hanno suggerito, allora ci assale lo sgomento, perché tutto lo sforzo che abbiamo fatto per abituarci a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze, si annulla nella nuova consapevolezza che la salvezza sta nella capacità del singolo di ritrovare quei perduti parametri esistenziali basati su valori che poco hanno a che vedere con tutto ciò che noi chiamiamo “progresso”.
Siate allora esempio di saggezza, perché se la competenza è il modo in cui usate la conoscenza, la saggezza ne è il perché, e soprattutto il quando.
“Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino,
bisogna soprattutto conoscere Giovannino”.
Jean-Jacques Rousseau, Emilio
La scuola ha bisogno di sogni, di respiri ampi, di visione. Ha bisogno di altezze, di andare aldilà, di vedere oltre. Soprattutto, oltre noi stessi. Perché la tentazione del rispecchiamento, anche se inconscia, è sempre dietro l’angolo: più mi assomiglia e più l’allievo è bravo, meglio ripete le mie parole e più ha capito, più si comporta come dico io e più è educato. Il grande fraintendimento sta nell’essere convinti di dovergli spiegare come deve essere, anziché cercare di capire come veramente è. Giovannino è venuto in questo mondo per uno scopo preciso: è una cosa così stupida e inutile prenderlo per mano e aiutarlo a capire quale sia questo scopo? Il Giovannino che è dentro ciascuno di noi è stato aiutato dai suoi insegnanti a scoprire il senso del suo camminare sulle strade di questo mondo? Oppure si sono preoccupati di qualcos’altro?
Sta a noi deciderlo. Certo, ci vuole coraggio. Il coraggio del prof. Keating che strappa le pagine dall’antologia e sale sulla cattedra per ricordare prima di tutto a se stesso che bisogna sempre guardare le cose da angolazioni diverse: “E’ proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”. E il mondo appare effettivamente diverso.  Anche se è lo stesso. Perché tutto è Uno.
“Non insegnate ai bambini,
ma coltivate voi stessi, il cuore e la mente,
stategli sempre vicini,
date fiducia all’amore, il resto è niente”.
Giorgio Gaber, Non insegnate ai bambini
E il maestro diventa Maestro, che nella bottega artigiana si pone a esempio di fattura, modello di capolavoro. Ciascuno con la propria fatica, il proprio sudore, la propria vocazione. Nel rispetto. Nella fiducia. A un seme, per crescere, bastano acqua e buon terreno. Ed è abbastanza.
Termino questa lettera, facendo mie le parole che una persona speciale, la nostra DSGA Luisa, ci ha scritto la notte tra il 31 agosto e il Primo settembre 2018, al momento di andare in pensione:
“Se nulla succede per caso, voi siete stati il mio caso, e se domani non sono con voi, voi siete sempre con me. Vi voglio bene”.

30 giugno 2020                                              Francesco Callegari

 “E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme”.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River

sabato 13 giugno 2020

IL PANE FATTO IN CASA


Durante questi ultimi mesi, ciò che nella vita di tutti i giorni sembrava normale e scontato si è mostrato inadeguatoLe regole che prima funzionavano, offrendo sicurezza e stabilità, ora non valgono più. La generazione abituata a vivere il tempo della velocità, dove tutto è sempre e subito disponibile, ha dovuto rivedere propri modelli di comportamento. Abbiamo dovuto inventarci nuovi modi di stare in casa e nuovi modi per lavorare, abbiamo dovuto sperimentare la pazienza di aspettare e anche la noia del non fare, abbiamo trovato energie e creatività che pensavamo di non possedere, abbiamo imparato a fare il pane.  
Anche il nostro modello scolastico non era preparatoAbbiamo dovuto cambiare la ricetta, reinventare il nutrimento che siamo soliti offrire. Il pane che ne è uscito è quello che siamo riusciti a cuocere. Talvolta troppo duro o troppo cottoma qualche volta anche buono, dal sapore accettabile. Alcuni insegnanti ci hanno messo il lievito madre, altri la farina forzuta, i più vi hanno messo tutto il loro impegno e la buona volontà nell’imparare a mettere le mani in una pasta non sempre agevole. Perché il video non è la classe, come la pagnotta integrale non è una torta SetteveliAttraverso il video non vi raggiunge il lampeggiare dello sguardo dell’insegnante che corre veloce tra i banchinon potete sentire il brusio delle voci con le loro sussurrate tristezze e bisbigliate felicitànon potete essere penetrati dagli odori della classe dopo una mattinata di scuola. Tutto questo, e tanto altro che manca, fa della scuola la scuola. Nonostante tutto, noi ce l’abbiamo messa tutta per dare ai nostri allievi il meglio che ci è stato possibile. 
Anche voi genitori, con i figli a casa per tante ore al giorno, e con l’aggiunta delle difficoltà lavorative, avete dovuto rivedere completamente l’organizzazione familiare. Avete dovuto assumere un ruolo, quello dell’istruttore che, se per alcuni è stata una scoperta, per altri si è rivelata una faticosa necessità. Ma ce l’avete messa tutta. Il vostro pane si è rivelato forse un po’ salato perché condito di tristezza, di attesa incerta, di aspettative deluse. Ma è il miglior pane che siete riusciti a offrire ai vostri figli.  
Voi ragazze e ragazzi avete smarrito quella stabilità negli impegni quotidiani che scandiva la vostra giornata, ma soprattutto avete dovuto rinunciare alla compagnia degli amici, alla presenza costante e attenta dell’insegnante, a quell’aria di casa fuori casa che è sempre stata per voi la classe. le lezioni online, surrogato senza sapore rispetto alla viva voce dell’insegnante che “sente” se voi avete veramente capito e lo state seguendo, ed è pronto a “riprendervi”E quella telecamera, occhio senza vita che guarda cieca i vostri occhi che guardano, ma che ignora quale sia il riquadro che voi fissate così intensamente tra i tanti che compaiono sul vostro schermo: l’unico volto veramente importante per voi. Nonostante questo, voi ragazzi ce l’avete messa tutta per riuscire a nutrirvi di quel pane dal sapore così insipido, dal gusto così povero. 
E’ il miglior pane che tutti noi, scuola, famiglie e ragazzi, abbiamo saputo fare e mangiare. 
Se siamo consapevoli di questo, allora ci è facile comprendere come questo periodo possa essere vissuto da ciascuno come palestra positiva di accettazione e anche, vorrei dire, di misericordia. Anche in questa occasione, la vita ci viene in aiuto come maestra, offrendoci in dono le sue regole per una migliore convivenza. 
Che questa lezione non sia per noi vana. 

Francesco Callegari  
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