Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

giovedì 2 giugno 2016

IL PONTE DI LUCIANO 4/5 – Mario Lancisi


La gente incuriosita cominciò a fermarsi e a commentare: «Cosa vogliono i ragazzi di quel prete?». «Vogliono un ponte su quei poggi, chissà per fare cosa!». Di lì a poco uscì dal Comune il sindaco: «Cos’è questo chiasso? Sembrate un branco di anatre rincorse dalla volpe!», disse dall’alto della sua autorità. Agli occhi dei ragazzi il sindaco appariva un omone grande e grosso. Loro gli andarono incontro: «Siamo di Barbiana» cominciarono. «L’ho visto – interruppe lui – ma cos’è questo chiasso?».
«Vogliamo il ponte per Luciano, perché non è giusto che i ragazzi di Vicchio abbiano il pulmino, la mensa, il riscaldamento, mentre Luciano per venire a scuola cammina per più di un’ora solo nel bosco e non ha neppure un ponte per attraversare il fosso del Fatino. Anche noi paghiamo le tasse come quelli di Vicchio». Di fronte al sindaco il discorsetto preparato era saltato. A voce tutto era più difficile.
Inizialmente il sindaco non capì. Quando poi afferrò la richiesta disse: «E per una passerella tutto questo chiasso?». Fece chiamare il capo stradino e gli ordinò di andare a vedere di cosa si trattasse e di accertarsi della fattibilità della passerella. I barbianesi rimasero stupiti e delusi. Innanzitutto perché il sindaco minimizzò, chiamò il loro ponte «passerella» e poi perché si aspettavano una lotta molto più difficile, più lunga, con arresti, ordini di sgombro, intervento dei carabinieri, invece il sindaco aveva subito risposto positivamente.
Il giorno dopo piovve e a Barbiana non si vide nessuno. Ma quando il tempo si rimise salirono su il capo stradino e un muratore, per vedere di cosa si trattasse. I ragazzi chiassosi e anche un po’ eccitati li accompagnarono fino al fosso. Loro guardarono, misurarono e poi dissero: «Si può fare. Torneremo nei prossimi giorni. Ma come si fa a portare il materiale fin quaggiù in questa buca? Con l’ape non ci si arriva e a spalla non ce la facciamo perché il materiale è troppo pesante». «Ci penso io – disse Giancarlo – veniamo io e il babbo con la treggia, tirata dai nostri buoi e vi portiamo la roba fin dove volete».
Mario Lancisi, dal blog Altratoscana.info


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