Architetture a Ostuni
Non è il titolo di un
volume di versi decadenti. The
Towers of Silence: è la passeggiata che propone
qualunque guida di Bombay al viaggiatore incerto sulla sua meta. La torre del
Silenzio, anzi le Torri, poiché sono cinque le Dakmas, dove i Parsi espongono i cadaveri agli avvoltoi. Io le
credevo un’invenzione di quei romanzi d’avventure, già cari alla nostra
adolescenza, dove, per gli occhi languidi della figlia di un Marajà, un
esploratore giovinetto era narcotizzato a tradimento, avvolto in un lenzuolo ed
esposto agli avvoltoi dell’edificio favoloso, ma veniva salvato da un servo
fedele e unito a giuste nozze con l’oggetto dei suoi desideri.
Le Torri esistono
invece e sono intatte, come mille anni fa […]. Un vallo senz’acqua circonda la torre
e due ponti vi sono sospesi, che danno a una porticina ovale, minuscola, unica
apertura nella mole bianca. Ed ecco fra il candore dell’edifizio e l’azzurro
del cielo un’enorme forma nera e sinistra, il primo avvoltoio, poi un secondo,
un terzo, poi sei, sette coronano la Torre, danno al suo squallore un tetro
motivo ornamentale […].
La Dakma si corona di avvoltoi, non più
calmi nel loro pensoso atteggiamento consunto, ma frementi, con i colli
serpentini protesi verso una cosa nuova. Lungo la strada, a mezza costa della
collina, biancheggia tra la polvere fulva e il verde fogliame, il corteo
funerario. E’ tutto candido; strana usanza opposta alla nostra, che ammanta di
veli bianchi il dolore dell’ultimo addio.
- Entreremo anche noi
nella Torre? – domando, non senza inquietudine d’una tale proposta.
- Nessuno, nemmeno l’Imperatore,
potrebbe penetrarvi; soltanto una speciale setta di necrofori e il sacerdote accompagnatore
possono entrare. […]
Al primo ponte tutto
il corteo si arresta, come per intesa, e solo qualche figura bianca segue il
cadavere: parenti più consanguinei, la madre, il padre, un fratello. La barella
è deposta dinanzi alla porticina aperta; i seguaci sostano pochi secondi
dinanzi al cadavere, forse per una preghiera d’addio. Di fronte è il sacerdote
Parsi con due addetti. Non altri, non altro; nessun gemito, nessuna lacrima,
nessun gesto tragico; forse anche nella religione dei Parsi, come in quella dei
Bramini e dei Buddisti, è cancellato il senso che noi occidentali abbiamo dell’io, e la loro filosofia millenaria
attenua lo strazio del distacco senza ritorno. La barella è scomparsa nella
porticina […].
Ma in alto, nell’aria,
è il turbinio fitto, spaventoso delle ombre nere. Dalle profondità dell’azzurro
s’avvicinano, ingrandiscono, precipitano colla velocità della pietra che cade,
i grifoni funerari; sull’azzurro del cielo, sul candore della torre, le ali
fosche sembrano attratte e respinte da un turbine avverso, fanno pensare alle
grandi ali degli angeli maledetti. Ma nessun grido, nessuna lotta, uno stridio
querulo e sommesso, quasi timoroso di svegliare un dormiente.
Guido Gozzano, Verso
la cuna del mondo. Lettere dall’India, Milano, F.lli Treves 1917. Da G. Graziani, Girando qua e là per
il mondo, ed. Vannini, Brescia 1927, p. 432-439.