Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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martedì 24 aprile 2012

BOMBAY. LE TORRI DEL SILENZIO - Guido Gozzano


Architetture a Ostuni

Non è il titolo di un volume di versi decadenti. The Towers of Silence: è la passeggiata che propone qualunque guida di Bombay al viaggiatore incerto sulla sua meta. La torre del Silenzio, anzi le Torri, poiché sono cinque le Dakmas, dove i Parsi espongono i cadaveri agli avvoltoi. Io le credevo un’invenzione di quei romanzi d’avventure, già cari alla nostra adolescenza, dove, per gli occhi languidi della figlia di un Marajà, un esploratore giovinetto era narcotizzato a tradimento, avvolto in un lenzuolo ed esposto agli avvoltoi dell’edificio favoloso, ma veniva salvato da un servo fedele e unito a giuste nozze con l’oggetto dei suoi desideri.
Le Torri esistono invece e sono intatte, come mille anni fa […]. Un vallo senz’acqua circonda la torre e due ponti vi sono sospesi, che danno a una porticina ovale, minuscola, unica apertura nella mole bianca. Ed ecco fra il candore dell’edifizio e l’azzurro del cielo un’enorme forma nera e sinistra, il primo avvoltoio, poi un secondo, un terzo, poi sei, sette coronano la Torre, danno al suo squallore un tetro motivo ornamentale […].
La Dakma si corona di avvoltoi, non più calmi nel loro pensoso atteggiamento consunto, ma frementi, con i colli serpentini protesi verso una cosa nuova. Lungo la strada, a mezza costa della collina, biancheggia tra la polvere fulva e il verde fogliame, il corteo funerario. E’ tutto candido; strana usanza opposta alla nostra, che ammanta di veli bianchi il dolore dell’ultimo addio.
- Entreremo anche noi nella Torre? – domando, non senza inquietudine d’una tale proposta.
- Nessuno, nemmeno l’Imperatore, potrebbe penetrarvi; soltanto una speciale setta di necrofori e il sacerdote accompagnatore possono entrare. […]
Al primo ponte tutto il corteo si arresta, come per intesa, e solo qualche figura bianca segue il cadavere: parenti più consanguinei, la madre, il padre, un fratello. La barella è deposta dinanzi alla porticina aperta; i seguaci sostano pochi secondi dinanzi al cadavere, forse per una preghiera d’addio. Di fronte è il sacerdote Parsi con due addetti. Non altri, non altro; nessun gemito, nessuna lacrima, nessun gesto tragico; forse anche nella religione dei Parsi, come in quella dei Bramini e dei Buddisti, è cancellato il senso che noi occidentali abbiamo dell’io, e la loro filosofia millenaria attenua lo strazio del distacco senza ritorno. La barella è scomparsa nella porticina […].
Ma in alto, nell’aria, è il turbinio fitto, spaventoso delle ombre nere. Dalle profondità dell’azzurro s’avvicinano, ingrandiscono, precipitano colla velocità della pietra che cade, i grifoni funerari; sull’azzurro del cielo, sul candore della torre, le ali fosche sembrano attratte e respinte da un turbine avverso, fanno pensare alle grandi ali degli angeli maledetti. Ma nessun grido, nessuna lotta, uno stridio querulo e sommesso, quasi timoroso di svegliare un dormiente.

Guido Gozzano, Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India, Milano, F.lli Treves 1917. Da G. GrazianiGirando qua e là per il mondo, ed. Vannini, Brescia 1927, p. 432-439.

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