Ai miei
ragazzi e ragazze
e alle loro
famiglie
Agli
insegnanti e al personale ATA
A tutti
coloro che hanno lavorato con me in questi anni
A tutti coloro
che amano la scuola
C
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on la sua trasmissione Non è mai troppo
tardi, Alberto Manzi si proponeva un obiettivo semplice e, allo stesso
tempo, ambizioso: consentire a tanti analfabeti italiani di conseguire il
diploma di quinta elementare.
Nei primi anni Sessanta, la televisione
aveva fatto da poco il suo ingresso nelle case e rappresentava uno strumento
tecnologico d’avanguardia. Consapevoli che la proposta era rivolta a coloro che
a scuola non c’erano andati, o non potevano andarci, il maestro Manzi e la RAI
misero la novità a frutto del bisogno. Il format non poteva che avere i
caratteri di una didattica a distanza, un’istruzione di base assolutamente
formale.
Il contratto con i telespettatori era
chiaro: io vi insegno a leggere e a scrivere in modo che voi possiate sostenere
l’esame. Altre promesse o aspettative differenti sarebbero state fuorvianti o
pretestuose.
Per diversi anni, la cosa funzionò, anche
perché il maestro rimase tenacemente fedele al suo impegno didattico e
metodologico, con l’umiltà di chi sa di tenere in mano un semplice gessetto e
la consapevolezza di essere all’interno di un contesto diverso rispetto alla
classe. Manzi sapeva che in classe guizzano sguardi, nascono amori, stillano
lacrime; in classe si sente l’odore della fatica e lo sferragliare dei cervelli
impegnati a pensare e a risolvere. Di fronte a un video, tutto questo e tanto
altro mancava.
Ciò che non mancò mai fu la sua passione
nel tracciare quelle lettere alla lavagna. E anch’io, bambino di 10-12 anni, ricordo
quella calda voce in bianco e nero che lentamente e con pazienza infinita
ripeteva e ripeteva nomi e articoli, verbi e preposizioni tenendo sempre legata
a sé l’attenzione dell’allievo, come fa l’alzaia con il battello.
L’alzaia è la fune che veniva utilizzata
per rimorchiare da terra le chiatte lungo la risalita dei navigli di città. E
proprio Alzaia è il titolo di un libro di Erri De Luca dove si narra di
un famoso sarto operante in Gerusalemme, luminosa metafora del maestro Manzi e
di ogni maestro che si trova a cucire la preziosa stoffa degli apprendimenti
con il fragile filo dell’insegnamento.
Cuciture
Un sarto ebreo
ricevette da un nobile della sua città l’incarico di cucire un raro capo di
vestiario con un tessuto prezioso acquistato a Parigi. Il nobile raccomandò al
sarto di realizzare un capolavoro. Il sarto sorrise e rispose che non c’era
bisogno di incitamenti perché lui era il migliore della regione. Terminata
l’opera portò il vestito dall’illustre cliente, ma ne ricevette in cambio solo ingiurie
e accuse di aver rovinato il tessuto. Il sarto frastornato e avvilito andò a
chiedere consiglio da reb Yeraḣmiel
che gli disse pressappoco così: “Disfa tutte le cuciture del vestito e poi
ricucile esattamente negli stessi punti di prima. Poi riportaglielo”. Il sarto
seguì lo strano consiglio e riportò il vestito al nobile. Con sua sorpresa il
signore fu entusiasta del lavoro e aggiunse anche un premio al salario.
Reb Yeraḣmiel
gli spiegò poi: “La prima volta tu avevi cucito con arroganza e l’arroganza non
ha grazia. Perciò sei stato respinto. La seconda volta hai cucito con umiltà e
il vestito ha acquistato valore”. È decisiva l’intenzione, più della perizia, l’ispirazione
più della maestria, anche negli umili lavori. […] La sola abilità tecnica è
sterile, vana.
Per chi è abituato
a considerare solo il prodotto finito e non il modo con cui lo si lavora, per
chi giudica l’opera e non l’intenzione, questo racconto è invano.
Erri De Luca, Alzaia
La sola abilità tecnica è sterile, vana. E’
più importante l’intenzione rispetto alla perizia, l’ispirazione più della
maestria, anche nei lavori più umili. Lo evidenzia bene Primo Levi quando mette
in bocca al montatore specializzato, protagonista del suo La chiave a stella, le sacrosante parole: “Ma io l’anima ce la
metto in tutti i lavori, lei lo sa, anche nei più balordi, anzi con più che
sono balordi, tanto più ce la metto. Ogni lavoro che incammino è come un primo amore”.
Una cara collega di Milano, in questi
giorni ha scritto le seguenti parole ai docenti e ai genitori:
“A partire da un articolo di giornale mi
veniva chiesto se la scuola digitale favorisce o meno l’educazione, non la
didattica, ma l’educazione. Qualcuno più grande di noi diceva che l’educazione
è cosa del cuore. Sono convinta che se ci si mette il cuore, si educa sempre.
E’ più difficile a distanza? Certo, ma non impossibile. Conta sempre quanto sei
disposto a lasciarti coinvolgere. Bambini e ragazzi capiscono se gli vuoi bene
e sanno che gliene vuoi anche a distanza. Una mamma mi diceva che sente un filo
conduttore in tutto ciò che stiamo facendo, e ciò che le arriva è Amore. Come
adulti non abbiamo potuto mantenere la promessa implicita nelle parole di
Franco Battiato: Ti proteggerò dalle
paure, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. Questo tempo
non ce lo ha concesso, ma a ogni bambino e ragazzo possiamo dire: Percorreremo assieme le vie che portano
all’essenza, perché sei un essere speciale. E io avrò cura di te, io sì che
avrò cura di te”.
Alberto Manzi aveva un fuoco dentro che scaldava
i cuori di chi lo ascoltava e metteva loro le ali. Nell’umile lavoro di ogni
giorno, tanti docenti oggi si sono rivelati “maestri”, modelli di impegno e di
cura, fucine di idee e di sperimentazioni, esploratori di anime scoscese dietro
un distante sguardo sfuggente, tessitori che intrecciano fili di tutti i colori
in trame di speranza per storie future, sarti che rammendano in silenzio sfregi
e sbrindelli.
A tutti loro, umili sì, ma grandi nella
passione, va il nostro ringraziamento.
Che questa storia non giunga per noi
invano.
Francesco
Callegari