Ogni volta che c'è da
ascoltare. Silenzio necessario per captare suoni anche lontani, richiami a cui
accorrere, passi di qualcuno che è atteso, e potergli andare incontro,
preparare per lui il nostro spazio.
O per non perdere
parole che a volte appena muovono l'aria. Parole che rovesciano la nostra
storia, o la sua.
Anche quando non si
ha niente da dire si deve tacere. Sulla persona che nemmeno conosco, ma so ogni
cosa, arrivata dal parlare di chi a sua volta nulla conosceva, ma non ha
taciuto. E allora tutto può essere detto e chi ferma il fiume delle parole
ormai scagliate?
E poi tacere quando
c'è da conservare un segreto. Consegna di sé. Chi sa oggi tenere i segreti?
E davanti alla
tragedia. Per sentire il morbido passaggio delle schiere di angeli che corrono,
a salvare un bambino, e non sappiamo perché non li salvano tutti. E quindi
tacere anche davanti al mistero assurdo e supremo della morte che ci scappa
incompiuta. Per non dire parole superbe e sentire se forse una Parola arriva,
di consolazione e promessa: ci sono, sono qui, risorto come tutti risorgono.
Tacere per sentire il
suono della Parola che leggo.
Per ascoltare il
suono del proprio esistere.
Per custodire verità
che possono far crocifiggere.
Ma quando la nostra
parola attesa può salvare, guai a noi per il nostro tacere.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 62-63.