Amare, in un primo
momento, non è ciò che si dice aprirsi, donarsi, farsi uno con un’altra persona
(perché, cosa potrebbe mai essere la fusione di ciò che non è né chiaro né
compiuto, che ancora non ha una propria coerenza?), ma è la possibilità più
alta che sia offerta all’individuo per maturare, per divenire qualcosa in se
stesso, per farsi mondo, farsi mondo in se stesso per amore di qualcun altro –
un’aspirazione grande, priva di qualsiasi ritegno, una realtà che lo sceglie e
lo chiama a ciò che è vasto.
Solo in questo senso,
come un incarico assunto per lavorare su di sé (“tendere l’orecchio e picchiare
notte e giorno con il martello”), i giovani dovrebbero servirsi dell’amore che
viene loro offerto.
L’abbandonarsi, il
donarsi interamente, e tutti i modi in cui si può realizzare l’unione, non sono
per loro (a lungo, ancora a lungo essi devono risparmiarsi, e far tesoro di sé):
si tratta della realtà finale, ciò per cui, forse, una vita umana potrebbe
anche non bastare.
continua…
Rainer Maria
Rilke,
Lettere a un giovane, Qiqajon,
Magnano 2015.