"Preside, dobbiamo
fare i turni per il mese di malattia", esordì il portavoce della
delegazione di bidelli (allora si chiamavano così) all'inizio dell'estate in un
paesino del profondo veneto, che di li a poco sarebbe diventato la culla della
nascente Liga Veneta.
Facile la risposta, dopo il primo momento di stupore: ma di che state
parlando, chi si è ammalato?
Controreplica (tradotta): "vede lei è nuovo, ma se durante l'estate la
gente ci vede tutti qui che non facciamo niente, pensa male; abbiamo sempre
fatto così."
Ovviamente quell'estate non ci furono malattie, dietro minaccia di denuncia
degli indisposti e dei relativi medici.
Ma la realtà del mondo dei bidelli, divenuti nel frattempo collaboratori
scolastici, non può essere liquidata con questo aneddoto, né con le prevedibili
controstorie dei bidelli di Siano (il più grande bidellificio del mezzogiorno).
Nel ricordo di tutti c'è sempre un signor bidello, in giacca e cravatta,
che vigila discretamente sulle intemperanze liceali, pronto ad aiutare, a
consigliare e, all'occorrenza, anche a fungere da delatore per evitare guai
peggiori.
Ma c'è anche una bidella Candida, che tiene alla pulizia e all'ordine di
una scuola elementare, come e di più di quella di casa propria. Anche questa
l'ho conosciuta: centrini sui tavoli, tendine fatte a mano alle finestre, fiori
freschi nei vasi, proprio quello che i colleghi più scansafatiche consideravano
una pericolosa ostensione di attivismo.
In realtà il ruolo dei collaboratori, ex bidelli, è importantissimo nei
rapporti e nella gestione quotidiana delle scuole. Quello che non funziona sono
le complicazioni procedurali, le rigidità nelle assunzioni, l'impossibilità di
interventi sanzionatori o premiali, la difficoltà di organizzare il lavoro
razionalmente e produttivamente a causa di norme maniacalmente restrittive, ma
soprattutto la retribuzione bassa e dequalificante. Non ultima, tra le cause
delle disfunzioni, la folle organizzazione tutta italiana di microscuole,
sparse nel territorio: uno spreco di risorse, materiali e umane.
Detto questo, non posso non ricordare un'aspirante bidella, una lavoratrice
"socialmente utile" di origine rumena, l'unica che qualche anno fa
ero riuscito ad avere come supporto ad un organico sempre più ristretto. Gli
altri, indigeni e no, avevano declinato la chiamata, sicuri di farla franca e
di continuare a percepire l'indennità di disoccupazione. La signora in
questione, che evidentemente possedeva una dignità innata, mi disse: "lo
stato mi dà 700 euro e io me li voglio guadagnare!".
Meritava la cattedra di filosofia morale, più che una scopa!
Paolo Menallo, ex dirigente
scolastico