Di non aver
detto. Di aver urlato i fatti senza conoscere le ragioni.
Di non aver creduto o di aver dissipato il credere d'altri. In noi. Il credere
in noi. Di aver giurato, promesso, glissato. Governato una vita prudente, in
cui ogni natività prometteva uno sconquasso e non è stato difficile trovare
silenziosi Erodi in ogni tempo, nostri compagni di omissione. Di aver pensato
male, incatenati a un sentire comune che sa per comune ignoranza.
Di non essere stati
abbastanza vivi ogni giorno.
Di non aver confessato
a nessuno mai il nostro desiderio. Di aver mentito raccontandoci di non aver
visto il desiderio degli altri. Né il bisogno.
E non aver cantato mai
nessun canto, per paura, superbia, pigrizia. In difesa noi, per gli altri
offesa.
Sobbalzare a ogni affiorare
di figura dall'indistinto dell'ombra. Senza saper davvero piangere. E
immaginare di poter credere che questo sia forza, concreto tenere i confini del
mondo. Tutto intero, colonne per noi stessi.
Ed esser grati al
rimpianto, che di colpo ci riconsegna al giorno che viviamo, al riaffiorare non
di tutte le possibilità, ma di questa presente, al bene da prendere e dare. A
tutto ciò che potremo portare con noi, senza più paura di guardare quel che è
stato.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, Torino, Einaudi, 2013, p. 14.