Certo che è
difficile. Da soli non si può vivere l’empatia senza rischi, perché non siamo
professionisti delle emozioni, non siamo psicologi. Si può viverla condividendo quel che succede,
creando una comunità di riflessione fra i professionisti dell’educazione:
insegnanti, assistenti educatori, psicologi degli sportelli di ascolto. Piccole
comunità di riflessione che accolgono le emozioni.
Quando un problema
emerge in modo grave, la tentazione oggi è delegare la gestione delle emozioni
dei ragazzi agli specialisti. C’è un «caso», e si chiama lo psicologo; ce ne
sono due, e si chiama l’équipe, dove c’è ancora. E va certo bene così dove c’è
l’eccezione e si intuisce che serve lo specialista.
E’ che oggi le
eccezioni arrivano in stormo nelle classi e allora si deve cercare un’altra
strada, la condivisione del problema. Mettere in gioco la nostra comune
umanità, che ci muove a sentire quel che i ragazzi sentono e bisogna riuscire a
non essere sopraffatti, a non uscire dal ruolo, a ricordare che si è a scuola per
insegnare e non per assistere.
E questo è spesso difficile farlo da soli.
Mariapia
Veladiano, Parole di
scuola, Trento 2014, p. 59-60