Sulla tua fossa senza
fiori, accenderò una lampada.
Ho saputo per caso
della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti
avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a
celebrare le esequie per te. Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla
mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle
orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate. Sulla tua bara, neppure un
fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco
di campana.
Ho scelto il Vangelo
di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura
mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù,
ricordati di me!...». Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane
bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata
nel fango con te! Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti
ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o
rivendichi per te il diritto al buon nome. Tu non avevi nessuno sulla terra che
ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se
ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello
ladro, sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché, stando ai
parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai
sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E
stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo
che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi
per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più
grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo. No, non sono amareggiato
per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita. Prima che giustamente
ti uccidesse il metronotte, ti aveva Ingiustamente ucciso tutta la città.
Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina,
che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che
pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere
tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza
istruzione. Questa città che finge di Ignorare la presenza, accanto a te che
cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco! Prima che giustamente ti
uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità
cristiane. Che, si, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire.
Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che
organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non
cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non
pro-muovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma
faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore
abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.
Prima che giustamente
ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che,
l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto
fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno
scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.
Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della
vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Perdonaci per l’indifferenza
con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire. Perdonaci se, ad
appena otto giorni dall’inizio solenne dell’anno internazionale dei giovani,
abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della
nostra retorica.
Addio, fratello
ladro.
Domani verrò di nuovo
al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di
speranza, accenderò una lampada.
+ Tonino Bello