Al Porto Vecchio di
Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una
pagina dolorosissima della storia d’Italia, di una vicenda complessa e mai
abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancor più straziante perché affida
questa “memoria” non a un imponente monumento o a una documentazione
impressionante, ma a tante piccole, umili testimonianze che appartengono alla
quotidianità.
Una sedia,
accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta
“Servizio Esodo”. Simile la catalogazione per un armadio, e poi materassi,
letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri,
altri nomi… Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno
scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo.
Con il trattato di
pace del 1947 l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia
costiera, e quasi 350 mila persone scelsero – davanti a una situazione
intricata e irta di lacerazioni – di lasciare le loro terre natali destinate ad
essere jugoslave e proseguire la loro esistenza in Italia. Non è facile
riuscire davvero a immaginare quale fosse il loro stato d’animo, con quale
sofferenza intere famiglie impacchettarono tutte le loro poche cose e si lasciarono
alle spalle le loro città, le case, le radici. Davanti a loro difficoltà,
povertà, insicurezza, e spesso sospetto.