Per parlarti di
Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l'ingresso nella città. Tu certo
immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura,
d'avvicinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri che già
guatano storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l'hai raggiunta ne sei fuori;
passi sotto un archivolto e ti ritrovi dentro la città; il suo spessore
compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c'è un disegno che ti si
rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli.
Se credi questo,
sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei
già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si
perde in acquitrini, così Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa
di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in
prati ispidi, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai
margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte
alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in
poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri
terreni vaghi, poi un sobborgo arrugginito d'officine e depositi, un cimitero,
una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe
macilente che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata.
La gente che
s'incontra, se gli chiedi: - Per Pentesilea? - fanno un gesto intorno che non
sai se voglia dire: "Qui", oppure: "Più in là", o:
"Tutt'in giro", o ancora: "Dalla parte opposta".
- La città, -
insisti a chiedere.
- Noi veniamo qui a
lavorare tutte le mattine, - ti rispondono alcuni, e altri: - Noi torniamo qui
a dormire.
- Ma la città dove
si vive? - chiedi.
- Dev'essere, -
dicono, - per lí, - e alcuni levano il braccio obliquamente verso una
concrezione di poliedri opachi, all'orizzonte, mentre altri indicano alle tue
spalle lo spettro d'altre cuspidi.
- Allora l'ho
oltrepassata senza accorgermene?
- No, prova a
andare ancora avanti.
Così prosegui,
passando da una periferia all'altra, e viene l'ora di partire da Pentesilea.
Chiedi la strada per uscire dalla città; ripercorri la sfilza dei sobborghi
sparpagliati come un pigmento lattiginoso; viene notte; s'illuminano le
finestre ora più rade ora più dense.
Se nascosta in
qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario esista una Pentesilea
riconoscibile e ricordabile da chi c'è stato, oppure se Pentesilea è solo
periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a
capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più
angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani
dalla città non fai che passare da un limbo all'altro e non arrivi a uscirne?
Italo
Calvino,
Le città invisibili, p. 162-163