Escher,
il grande artista olandese, ci ha lasciato un insegnamento straordinario. Tutta
la sua originalissima produzione grafica rimanda a una grande metafora dell’esistenza,
che si potrebbe sintetizzare così: a seconda di dove guardi, puoi diventare un
uomo libero, oppure chiuderti in gabbia con le tue stesse mani.
Nelle sue
opere infatti egli dà molta importanza al capovolgimento dello sguardo, allo
sguardo che cambia continuamente direzione, che si affaccia su prospettive
diverse e si accorge, diventandone consapevole, dell’esistenza di tanti
possibili aspetti della vita che in genere non cogliamo. Le piante, capovolte,
diventano pesci, gli uccelli diventano acqua e così via. Nei suoi disegni c’è
qualcosa di magico, una relazione stretta fra il mondo vegetale, il mondo dell’acqua,
il mondo animale, quello umano; a testimoniare che tutto è in tutto, che ogni
forma vira in un’altra, che viviamo di un continuo processo di trasformazione,
un’eterna alchimia dove tutto partecipa di un unico evento.
Come
scrive Marco Aurelio: “Tutte le cose si intrecciano le une alle altre e il loro
legame è sacro, e, in un certo senso, si può dire che nessuna sia estranea a un’altra:
tutte sono coordinate e concorrono all’ordine di un medesimo cosmo.
Ma Escher
va oltre e ci stimola, tra le righe, a notare come questi legami si possono
cogliere solo se il nostro sguardo è libero, attento, pronto a stupirsi di
tutto ciò che gli capita sotto tiro.
Raffaele
Morelli,
L’unica cosa che conta, Milano 2010,
p. 23-24