“Ma v’era dell’altro che anche più mi teneva legato ad essi: il conversare, il ridere insieme; lo scambio di reciproche cortesie, la lettura fatta in comune di libri; scherzare tra noi e insieme onorarci; dissentire talvolta ma senza animosità, come uno di noi fa con se stesso, e anche con queste discussioni, rarissime del resto, rendere più saporosi i numerosissimi consensi; insegnarci o imparare a vicenda questo o quello, desiderare gli assenti con impazienza, accogliere con gioia chi torna: tali e simili manifestazioni sgorganti da cuori che amano e che sono amati, nel viso, nei discorsi, negli occhi, in mille altri segni tutti graditissimi, erano come esca che infiamma le anime e, di molte, forma una sola.”
Agostino, Le confessioni, IV, 9.
Nel leggere queste parole di Agostino, ho ripensato all’invito che nell’ultimo periodo sento rivolgere sempre più frequentemente durante le riunioni e i convegni. I relatori e gli studiosi più diversi stanno sostenendo che la scuola sarà in grado di affrontare i grandi cambiamenti e potrà avere ancora un senso e un ruolo propositivo in questa nostra società, solo se si pone come “comunità professionale” e in tale forma si presenta all’esterno.
Fino a poco tempo fa si poneva l’accento sul concetto di “comunità educante”, nel senso che si intendeva mettere in luce quel patto che vedeva la famiglia e il territorio in rapporto sinergico con la scuola al fine di ridisegnare e valorizzare il ruolo di tutti i soggetti della formazione. Se una tale visione del rapporto della scuola con l’esterno è ancora sicuramente attuale, ciò che si vuole sottolineare oggi è soprattutto il ruolo delle dinamiche interne alla scuola, dinamiche che investono i lavoratori della scuola e che condizionano il clima organizzativo, corroborando o disgregando gli apporti individuali, consentendo di ottenere o meno dei risultati di squadra e tratteggiando, in definitiva, l’immagine della scuola come viene percepita all’esterno.
I due concetti che entrano a questo punto in gioco sono quelli di comunità e di professionalità.
Per lo Zingarelli, la comunità è una “pluralità di persone unite da relazioni e vincoli comuni di varia natura, in modo da costituire un organismo unico”. La forza di un organismo che si presenta concorde nei propri intenti e coeso nelle proprie azioni si attaglia perfettamente al bisogno che ha oggi la scuola di ritrovare una credibilità che viene complessivamente messa in discussione e il cui recupero non può essere lasciato all’iniziativa di gruppi sparuti o alla buona volontà del singolo docente.
La questione della professionalità del docente è già stata autorevolmente posta nella “Raccomandazione sullo status degli insegnanti” redatta dall’UNESCO nel 1966 in questi termini:
L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico, tale professione richiede non solo conoscenze approfondite e competenze specifiche, acquisite e mantenute attraverso studi rigorosi e continui, ma anche senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi (art.6).
Già allora si individuava nell’etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti, capaci di dare risposta a uno dei fondamentali diritti umani, il diritto all'istruzione e all’educazione:
Considerato che lo status della professione dipende in grande misura dal comportamento degli insegnanti stessi, tutti i docenti dovrebbero perseguire i più alti standard professionali nell’assolvimento della loro attività (art. 70).
Se questo rappresenta l’orizzonte entro cui situare il nostro lavoro, i due cardini su cui dovrà poggiare la scuola di domani saranno:
la forza dell’unione derivata dall’essere comunità,
la rigorosa competenza data dalla nostra riconosciuta professionalità.
La nostra scuola può veramente dirsi un gruppo coeso di professionisti? Forse non siamo ancora riusciti a fare nostro l’antico motto dell’uno per tutti e tutti per uno. In questi giorni, mi sto godendo l’edizione integrale de “I tre moschettieri” di Dumas. Da piccolo, ne avevo letto la riduzione per ragazzi e ne avevo un ricordo sbiadito, ma ciò che rammentavo perfettamente era lo spirito di squadra che consentiva ai quattro di ottenere risultati inimmaginabili.
In una delle prime comunicazioni vi ho scritto che non siamo obbligati a “volere bene” ai nostri colleghi, anche se nessuno ce lo vieta, anzi. Ciò che invece siamo obbligati a fare come comunità di professionisti è di collaborare tutti insieme per la riuscita della nostra impresa: le cavalcate individuali o le critiche per partito preso non sono bene accette nella nostra scuola. Vengano pure i suggerimenti onesti, siamo tutti pronti ad accettarli per rendere più agevole il raggiungimento dell’unico obiettivo che veramente ci interessa: l’accompagnare nel migliore dei modi i ragazzi nel loro percorso di formazione e di crescita culturale e umana.
Tutto il resto riguarda solo muri da abbattere, fossati da riempire, sterpi da disboscare per rendere agevole e sicuro quel sentiero che abbiamo scelto di percorrere insieme.
Francesco Callegari Dirigente Scolastico