Ormai faccio parte della Terza età. Me ne sono reso
conto all’improvviso, quando Trenitalia, nel farmi gli auguri per i miei
sessant’anni, mi ha graziosamente fatto notare che da quel momento avrei avuto
diritto agli sconti per i miei viaggi in treno. La benefica scossa mi ha
stimolato a ripensare al film della mia vita. E di questo film, mi piacerebbe
scorrere assieme a voi alcuni fotogrammi: ai vecchi, si sa, è concessa qualche
libertà.
Ho lavorato nella scuola per tanto tempo.
Ho cominciato come supplente, nei primi anni Ottanta e mi ricordo di avere
passato più tempo fuori, all’aria aperta, con le mie classi, nei prati, nelle
cascine e sotto gli alberi, che tra le mura dell’aula. Un anno, a Bevadoro,
abbiamo perfino invitato a scuola il casaro e fatto bollire in cortile non so
quanti litri di latte per poi fare il formaggio tenero e fresco che abbiamo
mangiato lì, tutti insieme spensieratamente. Si lavorava molto, ma nella
letizia e senza tante ansie, nella fiducia e nel rispetto da parte delle
famiglie.
Tutto era vissuto all’interno del sogno
dell’avventura educativa, nell’entusiasmo di una gioventù che non era soltanto
anagrafica, ma che rispecchiava anche il fiorire di una società inserita in un
mondo aperto a tante opportunità. E ciascuno si sentiva “respons-abile”, cioè
in grado e in dovere di rispondere per quanto gli competeva alla costruzione di
quel mondo. In tutti si faceva tutto: insegnanti pieni di voglia di
sperimentare, famiglie che collaboravano fiduciose, ragazzi che a scuola
venivano anche per stare insieme ai loro compagni e, perché no, pure per litigarci,
salvo poi trovare sempre il modo di riappacificarsi, anche senza l’intervento
degli adulti.
E’ stata una stagione straordinaria, un
modo di fare scuola che è ancora nel cuore di chi l’ha vissuto, ma che oggi non
è più ripetibile.
Mi sono chiesto cosa sia cambiato nella
società per portarci a perdere la freschezza e la spontaneità di quegli anni e
ho provato a darmi delle risposte. Sono sicuramente risposte parziali, risposte
che vogliono soltanto fotografare la realtà dal mio punto di vista, senza la
minima presunzione di volerla giudicare o la pretesa di cambiarla.
La risposta immediata che mi sembra possa
spiegare questo profondo cambiamento sta nella diversa sensibilità che oggi la
società presenta nell’ambito della responsabilità personale e in quello della
sicurezza. Per quanto riguarda la prima, vedo persone sempre più preoccupate
nel cercare al di fuori di sé la causa di ciò che gli succede, con la
conseguente necessità di trovare in ogni caso qualcuno su cui scaricare la
responsabilità dei loro guai. Per quanto riguarda la sicurezza, noto che,
almeno nella scuola, questo tema è diventato talmente pressante, da soffocare
qualsiasi anelito al rischio e all’avventura.
In definitiva, è la paura, il sentimento
che ci sta attanagliando: la paura di perdere quello che abbiamo, sia esso
qualcosa o qualcuno. Dalla paura primordiale di perdere la vita, fioriscono e
trovano alimento tutte le nostre paure quotidiane: la paura di non essere
amati; la paura dello sconosciuto e del diverso; la paura dell’incontro e
quella dello scontro; la paura del nuovo e dell’incontrollabile; la paura di
fidarci e di restare delusi; la paura di essere lasciati soli e quella di non
essere riconosciuti; la paura di affidare a qualcuno i nostri beni, i nostri
figli …
Solo chi si fida non ha paura.
Questa, a mio parere, è la grande perdita
della nostra società: la perdita della fiducia. E in questo clima generale, le
famiglie non fanno eccezione: ci consegnano i loro figli, ma anche ce li “af-fidano”?
Se la nostra preoccupazione come scuola è sempre
stata, nel passato, quella di offrire ai ragazzi le più varie opportunità di
crescita, anche cimentandosi in nuove esperienze e sperimentazioni manuali, ora
il nostro primo pensiero e le nostre maggiori energie vanno a salvaguardarne
l’incolumità, evitando tutte quelle attività che potrebbero, anche solo
lontanamente o ipoteticamente, comportare un rischio.
L’azione educativa della scuola è
storicamente legata alle esigenze e alle aspettative della società che la
progetta, e che la finanzia. Anche se, personalmente, ritengo questa scelta pericolosa
e molto limitante, non posso che farmene una ragione e accettare questo
vincolo. L’atto educativo che si realizza nelle nostre scuole è pertanto
curvato sul profilo e sulle esigenze della società che abbiamo oggi, com’è
andata delineandosi in questi anni.
Naturalmente, nessuno mette in discussione
l’importanza dell’incolumità psicofisica dell’alunno, ma forse ci si dimentica
che crescere comporta necessariamente dei rischi. Soprattutto nel caso di
bambini e ragazzi che trovano il loro modo di apprendere sperimentandosi
quotidianamente nel rapporto con i compagni e con l’ambiente che li circonda.
Quale libertà educativa può prendersi e dare una scuola che viene minacciata di
denunce per il solo fatto che il figlio arriva a casa graffiato da un compagno?
Come possiamo pretendere che i docenti lavorino bene con l’angoscia continua di
ricevere le lettere dagli avvocati e di essere chiamati in giudizio per
qualsiasi litigio tra coetanei? In diverse scuole italiane sta capitando
proprio questo.
E’ necessario, a questo punto, che anche
le famiglie comprendano come sia necessario trovare un equilibrio tra il nostro
compito di educatori e quello di custodi/sorveglianti, nella piena
consapevolezza che è certamente indispensabile mettere in atto tutte le
strategie per ridurre i rischi, ma anche nella serena accettazione che stiamo
vivendo in un mondo in cui non è possibile bandire del tutto il pericolo e solo
una campana di vetro potrebbe eliminare il rischio della “collisione
educativa”.
Personalmente, credo che il ragazzo cresca
meglio in un ambiente dove sente di essere circondato da persone che gli danno
fiducia e dove sa di poter sempre contare su una base sicura in caso di bisogno.
E quando dico sempre, intendo proprio “sempre”, in ogni momento della giornata
e ovunque egli si trovi.
Siamo arrivati a parlare di fiducia e di
libertà, due doni che rendono preziosa la vita di ciascuno, sia esso uomo o
donna, bambino o adulto, genitore o insegnante.
All’inizio di ogni anno ci si augura
salute e ricchezza. Io auguro a tutti noi di riuscire a rompere la nostra campana
per essere pervasi dalla luce e dalla forza che solo la reciproca fiducia può
darci.
Correremo dei rischi, ma saremo tutti più
ricchi e più felici.
Buon anno
Francesco Callegari
6 gennaio 2017