Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

martedì 14 giugno 2016

INTERROGATIVI BASILARI – Marco Orsi


Credo che nessuno di fronte alla scuola non abbia sperimentato, almeno una volta, un certo disagio, una qualche sottile inquietudine.  E se si ha il coraggio di non zittire quella flebile voce, se la ascoltiamo e le diamo la forza di affermarsi, allora il piccolo disagio può trasformarsi in un’inquietudine profonda, in un turbamento più forte, fino  al punto da provare una vera e propria sofferenza.
Ma che cosa stiamo offrendo loro? Che modelli proponiamo a questi nostri bambini e a questi nostri ragazzi?  Sono davvero capaci di promuovere - come si dice oggi con tanta enfasi - competenze, autonomia, apprendimento? 
Sono in grado – questi modelli - di appassionare alla scoperta del mondo, di aprire il varco per un’esplorazione entusiastica del sapere umano? 
E’ la scuola una scuola di vita e per la vita o è intesa come mero luogo di transito, di preparazione alla vita, quasi una sorta di limbo dove si deve stare obbligatoriamente per più di un decennio per poi finalmente inserirsi, essere riconosciuti come persone a tutti gli effetti? 
E’ luogo vitale, coinvolgente, appassionate, dove si ricerca insieme, dove si lavora e si fatica volentieri in uno spirito di comunità, per fare esperienze significative, o al contrario è un posto in cui è chiesto uno sforzo dal significato incomprensibile, dove si imparano cose il cui valore sfugge?
E ancora.  E’ la scuola un luogo dove la persona è riconosciuta in tutta la sua globalità di corpo e di mente, di emozioni e ragione, di cuore e intelletto e dove si superano dualismi come quello cartesiano tra pensiero e materia, o come quello tra soggetto e oggetto?   Un luogo dove i verbi dello scrivere, parlare, ascoltare, leggere si coniugano con quelli dell’esplorare, costruire, danzare, mimare, sentire, fare, simulare, toccare, manipolare, interpretare e rappresentare, sperimentare e provare, o invece è lo spazio della unidimensionalità, della frammentazione, dell’oblio non solo delle emozioni, ma anche delle proprie disposizioni particolari, uniche, della globalità della persona?
Allora a chi imputare la demotivazione, l’agitazione, la noia, la passività, l’irrequietezza che noi costatiamo in questi bambini e questi ragazzi? Lo imputiamo a loro, o meglio ad una società malata e ad una famiglia che è in crisi, o c’è qualcosa anche nella scuola che non funziona, un modello che non è rispettoso della loro dignità, un agire volto più a chiedere conformismo, adattamento, passività, piuttosto che libertà, creatività, indipendenza, autonomia, ricerca?
Marco Orsi, A scuola senza zaino, Erickson, Trento 2006


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