E come si fa?
La terra è una. La
vita è una. La nostra umanità è una. Scappare vuol dire lasciare indietro
qualcosa. Cosa lasciamo? Quale lontano possiamo raggiungere se la vita ci
precede, ci avvolge, ci abita?
Certo è una
tentazione e come tutte le tentazioni è un'illusione. Sembra una via d'uscita:
«Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!» (Mt 27,40).
È la croce il
problema. La struggente chiarezza del male che tocca le nostre vite. E la
tentazione di scappare è forse di chi più sente e ha sentito, e per contagio di
comune umanità continua a sentire che non c'è riparo al dolore. Perché il
dolore è mistero da sempre e nel suo mistero non preferisce i malvagi, a nostra
consolazione.
Gli altri non ci
pensano neanche a scappare e la calcano bene la terra, con falcate lunghe che
lasciano il solco, e a gambe larghe fanno sosta davanti alle croci
sbracciandosi a dire che quelli se la son voluta, che basta saper vivere. E non
sanno la vergogna di sé.
È il nostro restare,
insieme e non divisi, che sfida ogni giorno la barbarie di tutte le croci. Qui
in terra. Sperando il giorno, ma saldi a passare insieme la notte.
«Può darsi che domani spunti l'alba del giudizio
universale: allora, non prima, noi deporremo volentieri l'opera per un futuro
migliore». (Dietrich Bonhoeffer)
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 60-61.