Vederci
di tanto in tanto con occhi stranieri è una grazia.
Vedere
l'acqua che esce facile dai rubinetti, acqua benedetta e la buttiamo la santa
domenica a lavare i nostri pneumatici insieme alle coscienze sciatte che ci
comandano.
E
vedere le case che sono nostre, e se la cupidigia non ci divora, sono sicure e
non ci schiantano al primo rabbrividire della terra.
Poter
poi camminare nelle città, a fronte alta se vogliamo e con un nome pronto da
dichiarare. Lo pronunciamo una sola volta, e viene riconosciuto.
E
i figli. I nostri figli, che facciamo studiare, come deve essere, e hanno zaini
e vestiti, e li portiamo in corsa al conservatorio o in piscina, quanta acqua!,
e ci preoccupiamo che scelgano, Economia, Medicina o Archeologia, come deve
essere, e non sappiamo lo sgomento e insieme l'orrore di stringerli in braccio
leggeri leggeri, quasi stritolati dalla pena di chi non può nulla per loro, che
almeno dormano e non sentano la fame, perché non si sa dove cercare il pane.
E
poi l'assurdo nostro ridicolo correre strizzati in un tempo che intanto va con
il suo bel passo regolare, pronto al ritmo del nostro piacere se solo lo
volessimo, e invece dannato al nostro scappare, da tutti, da noi, dalla vita.
Sì,
è una grazia essere stranieri per quel che serve a vederci.
Mariapia Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 119-120.