Dire
solo parole che fanno la differenza.
Prima
qualcuno era fuori, e noi lo abbiamo invitato ad entrare. Anche se non aveva le
parole per chiederlo.
Lui
non conosceva il suo nome, e noi lo abbiamo chiamato mentre ancora era lontano.
Pentecoste quotidiana di chi si riconosce.
C'è
anche chi non sa proprio le parole, straniero al paese in cui ha trovato
rifugio e anche a se stesso in questa terra, e allora noi gliele insegniamo,
una a una, festoni di suoni colorati appesi alle pareti d'aula, raggruppate in
famiglie composte e perbene: casa, casina, casetta, casona, casata. Anche
caserma per movimentare un po'. E a volte capita di consegnare una parola per
noi indifferente e facile facile, come mare, ad esempio e quando loro, i
bambini, ce la restituiscono e appendono il festone, scopriamo che non hanno
potuto far famiglia, perché forse l'hanno persa per sempre la loro famiglia. E
le parole ci ritornano raggruppate per desideri e dolori: mare, mamma, casa. E
anche porto, buio, onde, paura. E felici allora se troviamo parole che
accolgano le loro, che adesso oscillano lievi ogni volta che le sfioriamo
sospese, disposte a diventare racconti non ancora scritti ma già pronti quasi a
disperdersi nel mondo quando il vento entra dalle finestre aperte dell'aula e
le solleva come la coda di un aquilone.
Mariapia Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 51.