C'è questo stupore che il tempo continui, continui oltre il nostro
dolore. Com'è possibile che le persone abbiano ancora un'intenzione, una meta
da raggiungere, un'incombenza da sbrigare, magari di corsa, senza niente
pensare. E c’è un governo con un decreto astratto e maldestro da votare,
assenti tutti dai banchi, tranne gli interessati. Perché ancora sono convinti
che un interesse, il loro interesse, valga la pena. Mentre il mondo è tutta una
pena. E tutti fan finta di credere a qualcosa: la cena da preparare, il bollo
da incollare.
Bisogna averla
conosciuta la disperazione. Toccato la fine del nostro mondo, addossati al
confine ultimo, niente più in là. Non il caldo di un desiderio che ci aspetta
almeno come promessa, non le mani che ci sfioravano e che abbiamo perduto,
nemmeno la fantasia, la più bugiarda delle promesse. Niente.
E niente si
può dire perché la disperazione sente solo parole insincere, che dicono la
consolazione senza conoscerla, e fanno male come una predica distratta a un funerale.
Che ci trovino
accanto. Silenziose presenze senza pretesa. Senza giudizi. Senza soluzioni.
Dove trovar pace. Una vastità accogliente. Che non giudica. Che offre riposo.
Non siamo soli, non siamo soli.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu resisti vita,
Einaudi, Torino 2013, p. 17.