Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

martedì 2 settembre 2014

TI REGALERO’ UNA ROSA – Claudia Pepe


“Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Così diceva Don Milani nelle “Lettere ad una Professoressa”, e mai come in  questo momento queste parole mi sembrano così attuali e così potenti. Cosa dovrebbe fare  una scuola, un gruppo d’insegnanti di fronte ai ragazzi difficili, quelli che formeranno l’esercito dei dispersi e di cui noi, anche se per un breve tratto della loro vita, siamo stati chiamati a educarli, a dar loro una riva su cui appoggiarsi per prendere fiato, marchiati da persone che forse non hanno volto il loro sguardo sul loro viso, all’interezza del loro essere.
Prima di scrivere “Promosso” o “Bocciato”, siamo sicuri di aver dato loro tutte le opportunità di esser stati protagonisti della loro vita, oppure abbiamo scelto la via più facile; quella retorica lezione che si ripete da secoli in cui spieghiamo, facciamo fare esercizi, interroghiamo e poi giudichiamo?
Abbiamo mai provato a mettere al primo posto l’amore, il prendersi cura, (non l’assistenzialismo), ma l’osservazione quotidiana, i gesti interrotti, i punti di forza dei nostri allievi e non sempre la mancanza, i loro deficit, il loro abbandono che nasce ancor prima di loro?
Abbiamo mai provato a capovolgere la solita frase:” Vedi va bene in Musica, in Arte e in Fisica, tutte materie che non hanno bisogno di studio, è proprio limitato!”
Quanta pochezza in queste parole mal riposte da insegnanti che insegnano a ripetere a memoria e non hanno mai provato a vedere gli stessi ragazzi interpretare, creare, rompere le barriere che hanno costruito intorno a loro, e ascoltarli mentre cantano una canzone che li rappresenta, che parla  di una solitudine di cui sono prigionieri e di cui non riescono a trovare la chiave per uscirne?
Vedere questi ragazzi, quelli difficili come dicono loro, emergere, sentire la loro emozione della prima volta, gli occhi lucidi mentre dicono: “I matti sono punti di domanda senza frase migliaia di astronavi che non tornano alla base sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole mi fabbrico la neve col polistirolo la mia patologia è che son rimasto solo. Ora prendete un telescopio misurate le distanze e guardate tra me e voi chi è più pericoloso?” (Ti regalerò una rosa di Simone Cristicchi).
Chi è più pericoloso? Loro a cui non abbiamo dato l’amore che cercavano da noi, o loro che già vivono della disistima di tutti, della loro giovane vita inefficace, del loro dolore che abbiamo già catalogato come patologia?
Non nascondiamoci dietro a una sindrome; non esistono più sindromi, perché siamo diventati tutti portatori di mal-essere, di a-normalità, prefissi da mettere davanti alla nostra incapacità di ascoltare, di interagire, di assolvere per mancanza di prove. L’empatia, quel sentimento passato di moda perché così difficile da mettere in pratica in un mondo dove non ci si saluta neanche tra coinquilini, quel sentimento che dovrebbe farci capire, recepire il loro mondo, è finito tra squallidi voti, in squallidi registri elettronici, dove non usiamo neppure la nostra mano, ma un mouse, per respingere un ragazzo a cui la vita disonestamente gli ha rubato un’infanzia tradita.
Noi non siamo un Ospedale, ma una Scuola che ha il dovere di aiutare gli ultimi, per farli credere che ai loro punti di domanda noi diventiamo le loro frasi e la neve non è solo per chi può toccarla.
La neve è di tutti e soprattutto ai ragazzi difficili piace sentirla sulla faccia. Per sentire una carezza da quel Dio che li ha sempre amati e ci ha creati tutti uguali.
Come diceva Don Milani: “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”.  Prima di farli ammalare ancor più, cerchiamo tutte le cure che solo noi insegnanti possediamo. Tra la testa e il cuore.

Claudia Pepe, in Questione di classe
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