Non sono convinto che
i dati della Rilevazione PISA 2012, appena diffusi dall’OCSE, siano da
considerare un segnale di miglioramento circa la qualità dei risultati che si
conseguono nel nostro sistema educativo. E ciò per varie ragioni, sia di
carattere generale, in quanto riferibili ai traguardi d’insieme che la scuola
persegue (o, almeno dichiara di voler perseguire) nei Paesi democratici, sia per
una considerazione non semplicemente da bar dello sport delle posizioni
occupate nelle graduatorie internazionali dai singoli Paesi.
Chi non si sia
accontentato delle notizie d’agenzia, e abbia cercato di capire qualcosa di più
consultando il rapporto ufficiale pubblicato dall’OCSE (Pisa 2012 Results: What Students Know and Can Do. Il testo è
disponibile nel sito www.oecd.org), si è trovato, in apertura di libro, di
fronte ad alcune affermazioni che non possono essere date per scontate. Nella
premessa del segretario generale dell’Organizzazione, Angel Gurría, si legge,
infatti, che i risultati educativi non devono essere valutati con riferimento a
criteri definiti a livello nazionale, ma in una logica di economia globale, per
la quale ciò che conta è ottenere prestazioni più elevate nel tempo più breve.
I dati Pisa
dovrebbero,quindi,essere tenuti in considerazione dai governi e dagli educatori
per definire politiche capaci di conseguire il traguardo indicato. In altre
parole, si dà per scontato che l’educazione sia da considerarsi subalterna
all’economia e che l’analisi dei fenomeni educativi debba essere effettuata
avendo come riferimento le ricadute che dall’attività delle scuole si possono
avere nei tempi brevi. Può anche darsi che argomentando da un punto di vista
strettamente economico le cose stiano nel modo indicato nel rapporto dell’OCSE,
ma non si può dare per scontato che tale punto di vista sia da considerare
necessario per definire i traguardi dell’educazione. Se i traguardi perseguiti
comprendono aspetti che riguardano lo sviluppo di un pensiero autonomo, di
capacità interpretative, di conoscenze non necessariamente collegabili ai
processi produttivi (tali sono le lettere e le arti, ma anche le interazioni
con la natura non rivolte a trarne un subitaneo quanto precario vantaggio), la
pedagogia implicita nelle affermazioni del segretario dell’OCSE non può che
suscitare allarme.
Siamo di fronte a
un’idea di educazione volta a conseguire obiettivi di utilità in tempi brevi,
avendo in mente un’idea di competenza che non comprende, e anzi esclude perché
in contrasto con l’economia globalizzata, la cultura come espressione di ciò
che è specifico nelle condizioni di esistenza degli individui e dei popoli. Si
direbbe che la competenza cui si aspira coincida con ciò che al momento è
richiesto dai sistemi produttivi. Non ci si chiede quanto a lungo tale
competenza conserverà il suo valore, e di conseguenza sosterrà il corso della
vita di chi l’ha conseguita.
Quelli sommariamente
richiamati sono aspetti sui quali è necessaria una riflessione a livello
nazionale. E forse è anche il caso, una volta tanto, di dire che l’Europa ce lo
chiede: certo non ci sollecita direttamente, ma proprio dalla comparazione tra
le condizioni di funzionamento del nostro sistema educativo e quello di altri
Paesi, che hanno ottenuto risultati nettamente più positivi,emerge lo scarto
tra le opportunità d’istruzione e la qualità delle esperienze di cui fruiscono
i nostri ragazzi e quelle correnti altrove.
Basti considerare alcuni
dati: gli orari di funzionamento delle nostre scuole sono schiacciati sul tempo
delle lezioni, senza possibilità di applicare ciò che è stato appreso, di
compiere le esperienze e di sviluppare le interazioni che renderebbero
qualitativamente apprezzabile l'apprendimento; c'è un'estrema disgregazione
nella distribuzione territoriale dei risultati, con isole positive, o anche
molto positive, ed estese aree di deprivazione; è inaccettabile il livello
della varianza fra le scuole (ossia le differenze tra i risultati delle singole
scuole), mentre sarebbe accettabile, in una certa misura, solo una varianza
entro le scuole; si osservano differenze di genere nei risultati che sono
rivelatrici non certo di capacità difformi, quanto della permanenza di stereotipi
sessuali.
Un dubbio aggiuntivo
è quanta parte del punteggio ottenuto dai nostri ragazzi sia effetto d'interventi
tesi ad addestrare gli allievi a rispondere a quesiti del tipo che sarebbe
stato utilizzato per le rilevazioni Pisa. Indicazioni in tal senso sono state
frequenti in passato, quando è sembrato che fosse una via rapida per risalire
la china. Ma è veramente così? I punteggi ottenuti per addestramento riflettono
competenze che durano quanto lo stimolo che li ha prodotti. I dati della
rilevazione Pisa sarebbero importanti se costituissero il punto di partenza per
una riflessione sui problemi della nostra scuola che investisse sia le scelte a
carattere generale, sia le soluzioni organizzative e didattiche. Ma ciò
dovrebbe essere fatto seguendo una linea interpretativa opposta a quella
indicata dal segretario dell'OCSE. Si dovrebbe rivolgere la massima attenzione
proprio a quanto c'è di specifico nella nostra cultura, a come siamo in grado
di immaginare lo sviluppo del nostro Paese, ai rapporti col resto d'Europa, ai
problemi di funzionamento del nostro sistema scolastico.
Basti considerare
alcuni dati: gli orari di funzionamento delle nostre scuole sono schiacciati
sul tempo delle lezioni, senza possibilità di applicare ciò che è stato
appreso, di compiere le esperienze e di sviluppare le interazioni che
renderebbero qualitativamente apprezzabile l’apprendimento; c’è un’estrema
disgregazione nella distribuzione territoriale dei risultati, con isole
positive, o anche molto positive, ed estese aree di deprivazione; è
inaccettabile il livello della varianza fra le scuole(ossia le differenze tra i
risultati delle singole scuole), mentre sarebbe accettabile, in una certa
misura, solo una varianza entro le scuole; si osservano differenze di genere
nei risultati che sono rivelatrici non certo di capacità difformi,quanto della
permanenza di stereotipi sessuali.
Un dubbio aggiuntivo
è quanta parte del Punteggio ottenuto dai nostri ragazzi sia effetto
d’interventi tesi ad addestrare gli allievi a rispondere a quesiti del tipo che
sarebbe stato utilizzato per le rilevazioni Pisa. Indicazioni in tal senso sono
state frequenti in passato, quando è sembrato che fosse una via rapida per
risalire la china. Ma è veramente così? I punteggi ottenuti per addestramento
riflettono competenze che durano quanto lo stimolo che li ha prodotti. I dati
della rilevazione Pisa sarebbero importanti se costituissero il punto di
partenza per una riflessione sui problemi della nostra scuola che investisse
sia le scelte a carattere generale,sia le soluzioni organizzative e didattiche.
Ma ciò dovrebbe essere fatto seguendo una linea interpretativa opposta a quella
indicata dal segretario dell’OCSE. Si dovrebbe rivolgere la massima attenzione
proprio a quanto c’è di specifico nella nostra cultura, a come siamo in grado
di immaginare lo sviluppo del nostro Paese, ai rapporti col resto d’Europa, ai
problemi di funzionamento del nostro sistema scolastico.
Benedetto
Vertecchi, l’Unità,
9 dicembre 2013