La
compassione è diametralmente opposta
alla crudeltà. La crudeltà è il piacere per la sofferenza di un altro, o
addirittura il desiderio di infliggere sofferenze. La compassione è esattamente
l’opposto: “Possa tu liberarti del tuo
soffrire e della fonte della tua sofferenza” [Alan Wallace, studioso
di buddismo e interprete del Dalai Lama].
A
quanto pare, le persone che agiscono con crudeltà non si commuovono di fronte a
segni di sofferenza o di paura: attivano un processo di depersonalizzazione.
Parte del problema consiste nel riportarli a capire che hanno a che fare con
esseri umani. Le persone con un lavoro che comporta la crudeltà spiegano che
non reagiscono al dolore dell’altro. La cosa sorprendente è che costoro, a
quanto pare, in famiglia sono dolci. E’ difficile crederlo, ma è quanto
affermano. Quindi c’è un aspetto negativo della plasticità del cervello: si può
imparare a non considerare più le persone in quanto tali [Paul Ekman, psicologo].
Dalai
Lama:
“Una procedura per coltivare la compassione consiste nel cominciare a vedere
gli altri come se ogni essere vivente fosse nostra madre. Vedere un individuo
come nostra madre fa emergere un senso di affetto, di attenzione, di dolcezza,
di vicinanza e di gratitudine. Spesso si ha l’impressione che coltivare
compassione e affetto sia qualcosa che si fa per gli altri, una nostra offerta
al mondo. Ma questo è un modo molto superficiale di vedere la cosa. A partire
dalla mia esperienza, sento che quando pratico la compassione ne traggo un
beneficio diretto e immediato, per me non per gli altri. Praticando la
compassione, il beneficio che traggo è del 100 per cento, quello che ne
traggono gli altri è forse del 50 per cento. Il motivo per praticare la
compassione è dunque l’interesse personale. Credo che la pratica della
compassione sia come un farmaco che riporta la serenità quando si è in preda
all’agitazione. La compassione è un grande tranquillante”.
Dalai Lama,
Daniel Goleman, Emozioni distruttive, p. 339, 341-342, 349.