C'era una
pianta rigogliosa, che si espandeva verso il cielo con i suoi grandi rami e le
sue foglie verdi come smeraldo: tutti venivano a guardarla, ad ammirarla.
Faceva
un’ombra magnifica e i visitatori del parco si rifugiavano nelle giornate afose
sotto le sue fronde.
Tutti le
erano riconoscenti per questo e la pianta si era abituata alle parole di
gratitudine della gente. Aveva trovato il suo posto nel parco e quindi nel
mondo: donava freschezza, pace, serenità a coloro che si affidavano alla sua
ombra ristoratrice. Si sentiva apprezzata, appagata, contenta e anche buona e
generosa.
La
gratificazione del mondo esterno, i complimenti delle persone bastavano alla
pianta, quella era davvero la vita che voleva: non poteva desiderare niente di
più.
Si può immaginare
lo sgomento della pianta, quando cominciò a percepire la presenza di piccole
escrescenze sui suoi rami: venivano dal profondo del suo essere, ma non
c'entravano niente con lei, con il suo mondo, con i suoi rami, con le sue
foglie larghe e bellissime. Era malata? Alla pianta accadevano altre cose
strane, mai successe prima.
Da tutte
le parti arrivavano su quelle escrescenze sciami di insetti, pollini e un
profumo mai sentito penetrava il suo spazio vitale. "Che cos'è quest'odore?" si domandava. "Quale
essere è entrato dentro di me, chi sta invadendo il mio mondo?"
Un
disagio che la sconvolgeva sino alle radici. Non si sentiva più padrona di se
stessa, della sua vita, e non le importava più nulla delle persone che andavano
a riposarsi e a rifocillarsi alla sua ombra. Quei bubboni proprio non li
sopportava, li riteneva estranei alla sua vita, alla sua essenza. Che cosa
stava accadendo?
Fioriva e
non lo sapeva. Lottava contro la forza creativa che la abitava e che la stava
facendo germogliare. Combatteva come un nemico il centro di se stessa, l'aroma,
la fragranza, la bellezza della sua anima, del suo modo unico di essere nel
mondo.
Combatteva
con tutte le sue forze l'unica cosa che conta nella vita: fiorire.
Raffaele
Morelli,
L’unica cosa che conta, Milano 2010,
p. 9-10