Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

sabato 28 marzo 2020

IL CIELO IN UNA STANZA - Francesco Callegari

E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Inferno, XXIV, 139

 

D

a parecchi giorni, la nostra vita ha assunto ritmi nuovi e del tutto diversi rispetto alle abitudini che avevamo. Ciò che prima davamo per scontato, ora non lo è più: andare a trovare gli amici, passeggiare nel parco, fare un viaggio in aereo o in treno, visitare una città o un museo, raggiungere la fabbrica o l’ufficio, frequentare la scuola. Sentiamo la mancanza di tutto questo, perché è proprio quando una cosa o una persona ci è tolta che ne sentiamo di più il valore e l’importanza.

Anche la scuola, sì anche la scuola. Quanti insegnanti mi stanno dicendo: “Non vedo l’ora di tornare in classe, mi mancano tanto i ragazzi, i loro sguardi, le loro voci, il nostro stare insieme ogni giorno”; quanti ragazzi mandano video alle loro maestre in cui la frase ricorrente è: “Mi mancate”; quanti genitori mi telefonano e mi scrivono pregandomi di mantenere viva, in questo scompiglio, la comunità scolastica e, per quanto possibile, una continuità negli apprendimenti.

La richiesta sottesa è sempre e comunque quella di rimanere agganciati, di “tenerci” perché sentiamo che una possente forza centrifuga sta spingendo adulti e bambini verso confini sconosciuti, verso limiti ancora inesplorati. Paradossalmente, vorrei dirvi che queste frontiere non sono lontane da noi, non sono fuori di noi: sono dentro di noi. Questa infatti è una forza che fa paura perché, come il volo del boomerang, ci obbliga a ritornare in noi stessi, a fare i conti con il nostro senso della vita, con il significato che diamo alle cose, alle nostre priorità. Più di milleseicento anni fa, sant’Agostino ci diceva “Non uscire fuori, rientra in te stesso, nell’uomo interiore risiede la verità”.

Tutti i paradigmi dell’uomo “esteriore” sono stati rotti, tutti i nostri modelli sono saltati. Nell’uomo che ritorna in se stesso, nella sua casa, nella sua famiglia, in un capovolgimento sconvolgente delle nostre certezze e delle nostre sicurezze, possiamo trovare, solo se lo vogliamo, il senso di ciò che ci sta accadendo. Questa tempesta ci dice con papa Francesco:  “E’ tempo di scegliere cosa conta e cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”.

Stiamo ponendo un’ardua resistenza al cambiamento, tutte le nostre energie sono rivolte contro questa forza che è scatenata non da un’esplosione nucleare, da una guerra, un terremoto o uno tsunami. Ciò che ci spaventa e contro cui stiamo lottando è un agente microscopico, qualcosa di invisibile che si muove nell’aria, che si posa sulle superfici, che ci entra dentro e ci fa ammalare.

E lo combattiamo con delle armi che, se ci pensiamo bene, rappresentano anch’esse dei simboli: la mascherina, che protegge gli altri più che noi stessi, ci invita a filtrare le parole che pronunciamo affinché non feriscano chi ci ascolta; il sapone e il disinfettante, che detergono le nostre mani, ci ricordano come le nostre azioni debbano essere sempre pulite e oneste.

Tutto ciò che sta accadendo è denso di simboli.

Organizziamo pure la didattica a distanza, facciamo pure le lezioni nella nostra stanza on line, cerchiamo tutti i modi per stare vicini e far sentire agli altri la nostra solidarietà, il nostro calore, la nostra amicizia, ma non dimentichiamoci mai che l’insegnamento più vero e profondo avviene nella nostra stanza interiore e ce lo offre, adesso e sempre, ciò che ciascuno coglie nel presente.

Stavolta è un dono difficile da accettare, ma solo cogliendone umilmente il senso, consapevoli che nulla potrà e dovrà essere più come prima, faremo tesoro della sofferenza che questo tempo porta con sé. E il dolore di tanti non sarà stato vano.

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