Un amico è una persona a cui vuoi bene, ma molto
bene: nei suoi confronti provi stima, gli dimostri affetto, cerchi occasioni
per incontrarlo, condividi i passi più cruciali della vita, gli assicuri il tuo
aiuto in caso di bisogno. Che sensazioni strabilianti scaturiscono da
quest'intesa!
Le belle emozioni stimolano piacevoli momenti, i
cuori allegri trasmettono la voglia di vivere, i nobili sentimenti scacciano le
malvagità, le buone azioni tessono forti legami umani. Proiettarsi fuori dal proprio
piccolo mondo individuale e desiderare di incontrare l'altro è "costruire
un ponte".
E i muri? Come facciamo a innalzare quei bei
"muri portanti e incrollabili"? Per un dispetto o un torto subito,
per un mancato favore, per una maldicenza orecchiata... Poi, quella persona la
allontani, la eviti, non la ricontatti più. Così, con una piccola barriera di
autodifesa ribadisci la tua superiorità e resti ben saldo nella convinzione
della validità delle tue ragioni.
Ognuno, spesso e volentieri, costruisce attorno
a sé il proprio muretto personale. Il muro è una grave forma di isolamento
sociale, una famigerata arma che danneggia, e a volte uccide mietendo migliaia
di vittime innocenti.
E noi parliamo di pace? scriviamo sulla pace?
No, la pace implica un'azione ben precisa e
concreta: il "fare". La pace si fa, non aspettando il primo passo
dall'altro, ma manifestando la propria iniziativa. La pace inizia dal basso,
dallo scalino più infimo, dal focolare domestico. E non dall'alto come erroneamente
si crede: lo testimonia un singolare episodio della tregua di Natale del 1914
quando i soldati inglesi e tedeschi hanno dimostrato che la pace si fa
scambiandosi gli auguri vicendevolmente.
Alla fine ti accorgi che l'anima tua si sta
svuotando della rabbia posseduta e stagnata da tempo. Il rancore si seda, il
muro si sgretola, e ora puoi pregustare la pace interiore.
Buona Pasqua.
Patrizia
Malachin